Nei giorni scorsi ha suscitato interesse la inedita riflessione di Massimo Recalcati, psicanalista e saggista, pubblicata su ‘La Stampa’, “un filo rosso lega la violenza dell’aggressione russa contro l’Ucraina con quella che colpisce la protesta delle donne e del popolo iraniano contro il regime degli ayatollah”.
Ecco i punti principali sostenuti da Recalcati.
“In entrambi i casi viene evocata l’immagine di Dio per giustificare gli abomini più efferati. Il patriarca della Chiesa ortodossa Kyrill e il regime teocratico di Teheran benedicono le armi che seminano la morte nel nome di Dio.
Fa sempre impressione vedere Putin che in Chiesa con una mano impugna la candela invocando il suo Signore, mentre con l’altra ordina il massacro del popolo ucraino mandando al fronte migliaia di giovani russi.
Il rapporto del potere con la religione è un tratto che unifica profondamente la Russia di Putin con il regime di Khamenei.
Il suo presupposto è il contrario di quello di cui nutre lo spirito laico della democrazia che prevede invece la netta distinzione tra vita religiosa e vita politica. Ne deriva un impasto micidiale: l’autocrazia di Putin è religiosa quanto la teocrazia di Khamenei è politica. Essere impiccati dallo Stato ‘per inimicizia verso Dio’ è una scoria atroce del medioevo, ma non è molto diverso quando si giustifica la guerra come rimedio necessario per arrestare la degenerazione morale di un libero paese democratico reo di essersi lasciato corrompere dalla malvagità immorale dell’Occidente.
Ma portare la bandiera di Dio nella vita politica è sempre fonte di sciagura. Un sentimento autenticamente religioso non impugna mai il nome di Dio come alibi per giustificare l’azione politica.
Ancora di più quando questa azione si macchia dell’orrore della guerra e della morte.
Nondimeno ogni forma di assolutismo è, in realtà, a suo modo, anch’essa religiosa. Il culto idolatrico della personalità del leader totalitario nei regimi ideologicamente antireligiosi – si pensi, ad esempio, alla Germania di Hitler o alla Cina di Mao – sostituisce a tutti gli effetti quello di Dio. Solo la democrazia è un sistema politico che dovrebbe escludere per principio l’idolatria in quanto, mantenendo separate la vita religiosa da quella politica, vieta a chiunque di convocare Dio a partecipare al conflitto politico. Nessuno in una democrazia può, infatti, pretendere di parlare nel nome di Dio.
Per questa ragione non dovrebbero esistere dichiarazioni di voto dal pulpito di una Chiesa.
Diversamente, nel regime russo e in quello iraniano lo sguardo di Dio illumina la sagoma del leader trucidando impietosamente i suoi nemici. Si invoca in questo modo una garanzia ultima sul Bene della propria azione politica.
Una garanzia fuori discussione, dogmatica, inscalfibile in grado di giustificare anche l’orrore. Ma in questo caso è l’uomo a fabbricare a suo uso e consumo Dio. Non a caso, tra i più gravi massacri avvenuti nella storia degli uomini, molti sono stati quelli compiuti nel nome di una versione idolatrica di Dio.
È il fondamento di tutte le guerre di religione.(…)
Per questo il Dio degli ayatollah odia le donne e il Dio di Kyrill odia la democrazia.
Le donne e la democrazia hanno, infatti, in comune il rifiuto radicale della religione idolatrica.
Le donne in quanto ci ricordano che niente vale più della dimensione insacrificabile e singolare della vita umana.
La democrazia in quanto ci ricorda che niente vale più della libertà di parola”.
Recalcati, la Russia, l’Iran
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