Continuano per il quarto giorno consecutivo gli attacchi aerei turchi su Kobane e su tutto il nord est della Siria, accompagnato dall’artiglieria sulle città curde nella provincia di Aleppo. Secondo l’Osservatorio siriano ci sono stati, ieri, 7 morti: 4 combattenti delle Forze democratiche siriane e 3 soldati governativi. Su tutta la fascia di confine, la popolazione curda sta sfollando per sfuggire alle bombe. Le truppe turche bombardano sia dalle zone occupate all’interno della Siria, sia dal territorio turco. I caccia di Ankara sono penetrati per 80 km in territorio siriano colpendo nelle province di Hasaka e di Deir Azzour.

La sorte dei siriani e dei curdi non sembra interessare alle cancellerie internazionali. A Doha i capi di Stato arabi hanno stretto la mano ad Erdogan, senza nessun cenno alle violazioni delle leggi internazionale e della sovranità di un paese arabo. Mosca e Washington si sono appellate a tutt’e due le parti, l’aggressore e la vittima, chiedendo di non alzare ulteriormente il livello delle violenze.

Erdogan con questa guerra ottiene due obiettivi: creare di fatto la “fascia di sicurezza” sulla frontiera, per cacciare i profughi siriani attualmente residenti in Turchia e distogliere l’attenzione della popolazione turca dalla crisi economica devastante causata dalle sue politiche fallimentari in materia economico-finanziaria. L’attenzione del neo sultano è rivolta tutta all’appuntamento delle presidenziali, il prossimo giugno 2023.