Si sono concluse domenica 13/11 le 4 giornate, dense di iniziative, di incontri, di confronti, svoltesi a Firenze in occasione del ventennale del Social Forum Europeo che coinvolse positivamente la città ad un anno di distanza dai tragici avvenimenti di Genova (l’uccisione di Carlo Giuliani, gli attacchi polizieschi ai cortei, i pestaggi e le torture della Scuola Diaz e di Bolzaneto).

Allora, nel 2002, vi erano state delle pessime premesse, con un’indegna campagna terroristica degli organi d’informazione, guidati dal quotidiano “La Nazione”, che prevedeva invasioni “barbare” e distruzioni, come a Genova si affermava, una campagna nei confronti della quale si misero in campo tutti gli anticorpi possibili – fra l’altro, fu redatta in italiano ed inglese, ad opera dell’ARCI, della Comunità dell’Isolotto, della FIOM/CGIL, della Fondazione Michelucci, e diffusa in ventimila copie, con il sostegno della Regione Toscana, una pubblicazione intitolata “Firenze – Tracce di un’altra storia” [aveva questa breve introduzione “C’è un legame profondo tra l’ospitalità del Social Forum a Firenze e la storia sociale di questa città. Pezzi di storia tante volte dimenticati, rimossi o negati e altrettante volte riscoperti, ricuciti e integrati in nuovi cicli di lotta e speranza di cambiamento”].

Tommaso Fattori, portavoce del Social Forum, insieme a Sara Nocentini, nel 2002, è stato il paziente, instancabile promotore del Ventennale.

Certo, non si è avuta una partecipazione come quella di vent’anni prima, quando oltre 70.000 persone, provenienti dai vari paesi dell’Europa ed anche da altri continenti, nonché moltissimi/e fiorentini/e – fra cui molte scolaresche – interessati/e da questa eccezionale occasione di conoscenza dei movimenti “per un altro mondo possibile”, furono presenti, nell’arco dei 4 giorni, negli ampi spazi della Fortezza da Basso, ed una straordinaria manifestazione pacifista, in cui una moltitudine di donne, uomini, ragazze/i – circa un milione – inondò, a conclusione del Social Forum, i viali di Firenze.

Oggi le presenze sono state di alcune migliaia e si è trattato, più che altro, di delegazioni di realtà associative europee che hanno cercato di coordinarsi e di organizzarsi su obiettivi comuni, specifici e generali.

Alcune associazioni di carattere internazionale hanno colto l’occasione per

riunirsi e lanciare campagne.

ATTAC italiana, ad esempio, si è incontrata con la sua gemella francese ed ha presentato la campagna “Riprendiamoci il comune” che verrà lanciata nei prossime mesi, con cui si prospettano interventi volti a dare protagonismo effettivo alle/ai cittadine/i nell’ambito degli enti locali e che si articolerà in incontri, confronti, raccolta firme per un referendum.

Significativa la partecipazione femminile al Ventennale, con incontri che hanno individuato forme efficaci per rilanciare la lotta per la parità di genere e contro la violenza maschile sulle donne.

La città ha vissuto l’evento in maniera diversa rispetto al 2002, con presenze indubbiamente più limitate nei 4 giorni – non a caso, gli spazi per riunioni ed assemblee non sono stati più quelli molto vasti della Fortezza da Basso, ma quelli assai ristretti del Palazzo degli Affari per gli incontri di carattere generale ed altri, di case del popolo e circoli vari, per le riunioni settoriali -, ma con un percorso di iniziative, promosse da soggetti associativi locali, che nelle settimane precedenti hanno cercato di sensibilizzare la cittadinanza su quello che sarebbe stato il ventennale, socializzandone i contenuti (ricordiamo, a titolo esemplificativo, l’incontro sui beni comuni organizzato dalla Comunità dell’Isolotto il 5/11 con l’introduzione di Paolo Cacciari).

Fra i temi al centro delle assemblee e delle riunioni particolarmente importanti quelli della pace, del razzismo, del fascismo risorgente in varie parti d’Europa.

Stiamo vivendo, infatti, in tempi bui, in cui il neo-liberismo, il prevalere delle multinazionali e del capitale finanziario, i diktat del mercato sono sempre più accompagnati e sostenuti da regimi sovranisti e, in alcuni casi – vedi l’Italia -, apertamente fascisti.

Una delle caratteristiche principali di tali regimi è quella di essere “portatori attivi” di razzismo, com’è dimostrato dai provvedimenti adottati dall’Ungheria e dalla Polonia a proposito della chiusura delle frontiere.

L’Italia del Governo Meloni non è però da meno, con

– le persone ridotte a “carichi residuali” [vedi le dichiarazioni del Ministro degli Interni Piantedosi relative a chi naufraga nel Mediterraneo – Alberto Olivetti, in un suo articolo su “Il Manifesto”, afferma “Lei (Ministro Piantedosi) qualifica l’essere umano come un peso … lo riduce a salma. E le parole sono pietre, come ammonisce Carlo Levi” ],

– le distinzioni di Giorgia Meloni, riferite ai salvataggi in mare, fra naufraghi e migranti – come se, nel caso in cui chi naufraga sia un migrante, non si dovessero rispettare le regole del mare che prescrivono l’approdo delle navi che salvano nel porto sicuro più vicino -,

– la “guerra” contro le navi delle ONG che operano per salvare vite umane,

– la dichiarazione, sempre di Giorgia Meloni, che indica tale “guerra” come un atto per la difesa dei sacri confini della patria, per cui, a suo dire, si è impegnata con coloro che l’hanno eletta – il suo precursore Benito Mussolini voleva difenderla, la patria, sul bagnasciuga, lei ha spostato in alto mare tale difesa -,

– il rinnovo di accordi vergognosi con la Libia perché impedisca l’immigrazione verso l’Italia (accordi fatti la prima volta dal Ministro Minniti – quello che, per combattere il razzismo, ne assumeva, omeopaticamente, piccole dosi [vedi in proposito il Minniti televisivo del comico Crozza] – nonostante l’opposizione di tutte le organizzazioni che si occupano positivamente dell’accoglienza e dell’inclusione di quanti/e provengono da altri paesi),

– il continuo dichiarare, da parte di chi è al governo, “prima gli italiani”.

Si tratta di dichiarazioni e di atti che suscitano indignazione e necessitano di risposte decise da chi sa ancora distinguere fra umano e disumano.

Tutto ciò aggiunge un di più di “cattivismo” [usiamo questo termine per l’assonanza con quello di “buonismo”, una qualifica attribuita spesso in passato a chi si adoperava con spirito di solidarietà verso i nuovi arrivati], ma, purtroppo, rientra appieno nelle politiche europee – è l’Europa, infatti, ad avere finanziato il sultano/dittatore Erdogan, quello che fa la guerra alla popolazione curda, perché bloccasse, non importa con quali metodi, l’immigrazione -.

Certo, ultimamente, vari paesi hanno espresso critiche verso l’Italia, ma non è stato proceduto, a tutt’oggi

– ad un deciso cambiamento di rotta nelle politiche verso i migranti, a cominciare dal superamento dell’accordo di Dublino – l’accordo comporta che il primo paese ospitante chi arriva sul suolo europeo sia quello che prende in carico la sua istanza di rifugiato politico -,

– all’adozione per tutti/e delle regole che valgono per coloro che arrivano dall’Ucraina,

– alla possibilità per ogni persona di poter chiedere asilo, sulla base dei trattati internazionali e, per quanto riguarda l’Italia, anche della sua Costituzione (art.10).

E’ proprio perché si assiste ad un preoccupante diffondersi di opinioni e sentimenti razzisti che occorre sviluppare un’azione di contrasto volta a mettere in moto tutti gli anticorpi necessari presenti nella società, che devono vedere impegnati associazioni, sindacati, realtà di base e di movimento per riuscire a diventare veramente egemoni ed a far sì che le istituzioni adottino provvedimenti adeguati per arginare tale diffusione.

Il razzismo è un male sottile, che si insinua cogliendo le fratture che si determinano

– fra i vari settori sociali – fra gli “ultimi” e i “penultimi”, ad esempio -,

– fra la cosiddetta “normalità” e le “differenze” che si riscontrano, di volta in volta, sul piano del genere, dei comportamenti sessuali, del colore della pelle, delle abitudini e dei comportamenti,

– fra le diverse nazionalità.

Può portare, com’è accaduto, in forme orribilmente tremende, in passato e come continua ad accadere ancora oggi, a situazioni di oppressione, di discriminazione, di ingiustizia.

Occorre non abbassare mai la guardia,

– coniugando la lotta al razzismo con quelle per i diritti civili, per i diritti sociali, per l’ambiente, per l’eguaglianza,

– intrecciando strettamente i movimenti contro la guerra e contro il razzismo, dando loro continuità,

– facendo di entrambi una priorità nei programmi politici.

Contro la guerra occorre riaffermare l’azione consistente in campagne [con iniziative di confronto e di approfondimento, raccolta di firme, proposte di legge, con interventi volti a responsabilizzare le singole persone, tipo l’obiezione fiscale alle spese militari – com’è stato sostenuto recentemente anche da Alex Zanotelli -, con un coinvolgimento ampio degli enti locali – vedi, negli anni ‘80, il dichiararsi, da parte dei comuni, “denuclearizzati”, e cioè indisponibili ad ospitare ordigni nucleari – ancora se ne trovano traccia nei cartelli ai confini comunali con la scritta “territorio denuclearizzato” (la scritta odierna potrebbe riguardare anche il nucleare civile, da rifiutare insieme a quello militare) -],

– per una drastica riduzione delle spese militari,

– per la riconversione delle fabbriche d’armi,

– per uno stop deciso al commercio degli armamenti, a cominciare dalla vendita delle armi ai paesi in guerra,

– per l’adesione dell’Italia al TPAN (Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari),

– per l’inclusione della difesa disarmata e nonviolenta fra quelle ufficialmente riconosciute, praticabile da chi obietta rispetto all’uso delle armi.

Anche alla lotta al razzismo occorre, come si è già accennato, dare continuità.

Oltre alle manifestazioni, ai cortei, che riaffermano, in modo evidente e pubblico, la volontà di parti notevoli della società di dire NO al razzismo, è essenziale

– attivare organismi di contrasto alle discriminazioni, in grado di intervenire sui casi che si verificano quotidianamente (con particolare attenzione agli atti, alle situazioni, alle opinioni diffuse discriminanti nei confronti della popolazione Rom),

– portare tale tematica nelle istituzioni, perché si attrezzino in modo adeguato,

– promuovere confronti e dibattiti nelle scuole, perché tutto ciò sia al centro dei processi formativi.

Da atti, anche piccoli, di intolleranza possono nascere processi che portano a situazioni di grave pericolo per la convivenza civile.

Per questo occorrono

– una vigilanza continua,

– la capacità di agire tempestivamente,

– collegamenti internazionali in grado di rendere più efficaci le azioni di contrasto al razzismo (un coordinamento europeo contro le discriminazioni che operasse con continuità potrebbe risultare assai incisivo e contribuirebbe a ricostruire un’Europa, basata sulla solidarietà e la cooperazione, nello spirito dell’unità europea indicata dal documento di Ventotene redatto da Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli – e non sulle banche, il mercato, i poteri delle grandi multinazionali finanziarie – quelle che chiudono un’attività lavorativa, per poi delocalizzarla, con un semplice messaggio e-mail [vedi il caso della GKN] -, com’è invece attualmente -).

Chi partecipò al Social Forum del 2002 dichiarò di essere, prima di tutto, contro le barbarie del neo-liberismo e della guerra, che erano i punti essenziali del documento conclusivo dell’evento.

Oggi, visto che le forme di intolleranza, invece di essere ridotte e marginali, sono cresciute, e che vi sono governi, di chiaro stampo fascista, che le alimentano, occorre aggiungere esplicitamente fra le priorità la lotta al razzismo ed al fascismo.

Non vi potrà mai essere, infatti, un “altro mondo possibile – e sempre più necessario -”, se non si riusciranno ad estirpare dalle istituzioni e dalla società pensieri, atti, comportamenti che provocano situazioni di discriminazione.

Per questo il NO AL RAZZISMO deve costituire un punto di fondamentale importanza per ogni programma politico in sintonia con quanto prevedono la Costituzione italiana, esplicitamente antifascista, e diverse dichiarazioni e trattati internazionali.

E’ anche su questi punti – che traducono in richieste, proposte, vertenze concrete e specifiche i principi generali – che dal Ventennale del Social Forum deve venire una spinta per il rilancio delle lotte e dei movimenti.

Altrimenti iniziative come quella del 10-13 novembre a Firenze rischiano di essere delle belle parentesi che però non riescono ad incidere sulle situazioni che viviamo quotidianamente.

Per una società pacifista, antirazzista, antifascista, basata non più sul profitto, ma sulla cura del prossimo, dei beni comuni, dell’ambiente.