Il dialogo interreligioso è il frutto dell’evoluzione della nostra società moderna. Infatti le distanze materiali tra i popoli si sono accorciate grazie ai moderni  mezzi di comunicazione e di spostamento. Questo ha reso necessario l’urgenza di “accorciare” anche le distanze spirituali tra le varie religioni. Lo scopo è quello di evitare, in un mondo pieno di conflitti anche quello sfondo religioso, e favorire la nascita di una nuova fraternità universale riconciliata pur nelle proprie differenze di credo. Il dialogo può essere ponte tra comunità religiose, può aiutare a superare stereotipi che tentano di rinchiudere le diverse confessioni in mondi separati, isolati, nei quali ognuno è attento al suo orto. Spesso incomprensioni, distanza e ignoranza verso l’altro hanno alimentato intolleranza, fomentato violenze e acceso guerre. La storia recente vive alcuni significativi momenti di dialogo. Ricordiamo la grande preghiera per la pace ad Assisi nel 1986, quando Giovanni Paolo II convocò i rappresentanti delle varie religioni. Parteciparono 62 capi religiosi provenienti da tutto il mondo: musulmani, induisti, buddisti, scintoisti, sikh, membri delle religioni tradizionaliste africane e americane indiane. Ciascun gruppo pregò a suo modo e in luoghi vicini, ma diversi. Tutti impegnati per una preghiera di pace.

Durante lo scorse mese di ottobre si sono tenuti sul tema “dialogo-religioni” due convegni internazionali: a Medina di Tunisi “L’uomo e le religioni” organizzato dall’Istituto di Studi Umanistici di Sbeitla-Università di Kairouan e a Roma “”Il grido della pace” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.

18-19 ottobre si sono incontrati presso il sito archeologico di Sbeitla nel cuore della Tunisia ricercatori del mondo accademico, rappresentanti delle comunità di fede, attivisti provenienti da varie parti del Mediterraneo e il Medioriente (Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco, Italia, Algeria, Iraq) per aprire nuove prospettive e valorizzare le diversità religiose e favorire la convivenza feconda di culture dialoganti.  Tra “Le sfide del dialogo” è stato presentato da Mondo senza Guerre e senza Violenza un intervento dal titolo “Gli incontri della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza: Padre Paolo Dall’Oglio e San Charles de Foucauld”. Durante il suo andare con la Marcia si sono scoprirte realtà nascoste come quella di Deir Mar Musa, comunità fondata da Padre Paolo D’Oglio dove potevano trovare rifugio persone di diverse religioni e culture riunendosi sotto una tenda (la tenda di Abramo) o Padre Charles de Foucauld (religioso francese, esploratore del deserto del Sahara e studioso della lingua e della cultura dei Tuareg).

23-25 ottobre, “Il grido della pace – Religioni e cultura in dialogo” ha visto per tre giorni a Roma la partecipazione delle grandi religioni mondiali insieme a rappresentanti del mondo della cultura e delle istituzioni, provenienti da oltre 40 Paesi per rilanciare il dialogo e uscire dalla logica dell’aumento delle spese militari. Tra i vari interventi dell’inaugurazione del 23/10 il cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi “Si parla troppo di riarmo, dovremo certamente riprendere un discorso forte per evitare che l’unica logica sia quella militare, chiedere sempre che tutti i soggetti, con audacia e immaginazione, concorrano a tessere la tela della pace. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. E anche il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, ha indicato il dialogo come unica chance per arrivare alla composizione dei conflitti. La cerimonia conclusiva si è svolta al Colosseo. Dopo momenti di preghiera nelle diverse religioni, alcune migliaia di persone sono confluite davanti all’antico anfiteatro, dove Papa Francesco ha iniziato il suo discorso con «Non siamo neutrali ma schierati per la pace”. Ha poi continuato “I governanti facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace…Il grido della pace esprime il dolore e l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. Oggi si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato. In questo scenario oscuro, dove purtroppo i disegni dei potenti della terra non danno affidamento alle giuste aspirazioni dei popoli. La pace— ha ribadito ancora – è nel cuore delle religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio». Francesco ha fatto poi risuonare l’appello di San Giovanni XXIII, quando, durante una grave crisi internazionale, nell’ottobre 1962, mentre sembravano vicini uno scontro militare e una deflagrazione nucleare aveva affermato: «Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace». Sessant’anni dopo, queste parole hanno risuonato di impressionante attualità.