Ci sono due temi che percorrono la società e che mi paiono collegati: il tema del bene comune e quello dell’autoritarismo.

Il bene comune è solitamente attaccato dai poteri economici: lo è da tempo, basti pensare al tema dell’acqua che è stato definito da molti il bene più prezioso del terzo millennio e che è stato recentemente quotato in borsa. Lo è stato nella pandemia dove il bene comune della salute pubblica è stato violentato dagli interessi delle istanze piccole e grandi del businness farmaceutico. Anche qui, dietro la mediatica divisione tra vax e no-vax, è apparsa di recente la vera disputa tra Pfiser e Moderna che si sono citate in tribunale per la paternità del vaccino.

Al tempo stesso, all’aumentare dei problemi, si è andati verso la ricerca di soluzioni in cui l’autoritarismo era il segno predominante.

C’è un problema? La soluzione è mandare eserciti, polizia, formulare leggi e decreti che regolino e regolamentino il problema, possibilmente semplificando le questioni. Esempio tipico: problema migranti nel Mediterraneo: facciamo un blocco navale. E certe soluzioni autoritarie si sono fatte strada anche in ambienti che si definiscono progressisti, come se le “buone ragioni” si potessero imporre con la forza, col paternalismo. Avallando cose che non erano tollerabili e che si sono ritorte contro chi le ha promosse.

Inutile dire che i problemi sono complessi, che hanno una storia e una dinamica e che forse dando la priorità al bene comune si potrebbero risolvere. Che si potrebbero studiare, comprendere nella loro ultima radice; che se ne potrebbe pianificare una soluzione che necessiterà un tempo, una verifica.

Inutile dire che ci sono problemi, come la crisi energetica e ecologica, che richiedono soluzioni urgenti e non di facciata, un cambiamento radicale della prospettiva e che, qui ancor più che da altre parti, la differenza tra beni comuni e interessi privati è evidente.

Perché quando parliamo di bene comune immaginiamo soluzioni comuni ai problemi: se pensiamo l’energia come bene comune penseremo a come risparmiarla, a come darla equamente a tutti a come produrla il più possibile da fonti rinnovabili; se pensiamo alla salute come bene comune metteremo le nostre principali energie nel risolvere il problema della fame, nel levare i brevetti sulle medicine per renderle accessibili a tutti, nel costruire ovunque struttura sanitarie di prevenzione e di cura aperte a tutti.

Potremmo ovviamente continuare ma sicuramente non privilegeremo sistemi autoritari per giungere a questi obiettivi.

L’autoritarismo è d’altra parte il “braccio armato” della violenza economica che passa sopra a qualunque esigenza ideale umana in nome del profitto; profitto che diviene sempre più insensato dato che chi lo detiene da tempo non ha la possibilità pratica di spendere i soldi che ha accumulato e che sono, sempre più, un semplice quanto catastrofico gioco di computer in borsa.

Ma l’autoritarismo pare ancora una buona soluzione ed è qui che sta lo spartiacque culturale con il bene comune.

Peraltro è curioso perché il bene comune era un aspetto centrale della società contadina da cui veniamo e che sembra abbiamo dimenticato. In tutte le culture contadine di tutte le parti del mondo vige questa idea di un bene comune che la società spesso difende con l’autoritarismo patriarcale che denotava quelle culture. Abbiamo perso il bene comune e ci siamo tenuti l’autoritarismo…

I processi di presa di coscienza sono lenti perché le precedenti visioni agiscono come “strascico”: di fronte alla crisi eccheggia il vecchio “si salvi chi può” individualista, come se ci fosse un piano B, un pianeta B. E ci crediamo, almeno ancora per un po’. E se il vicino impazzisce e ammazza la moglie invochiamo più controllo e polizia, come se esistesse la possibilità di controllare il processo di destrutturazione delle menti e dei valori.

In questo momento storico il bene comune è la sopravvivenza della specie umana, minacciata non solo dal disastro ecologico prodotto da un sistema insensato di sfruttamento delle risorse ma anche da un sistema mentale individualista e basato sull’ipotetica legge del più forte e sull’autoritarismo.

Le tracce di un nuovo mondo risiedono nella presa di coscienza delle risorse del pianeta e dei suoi abitanti come bene comune da curare e valorizzare: in primis nelle relazioni tra gli umani e gli altri esseri, poi nei modi di produzione e trasformazione delle materie prime in soluzioni per le necessità di quegli esseri, infine nella ricerca evolutiva di una sintonia spirituale tra gli esseri e nell’immaginazione di obiettivi che vadano molto al di là del miserevole sistema di profitto dominante in questo momento di crisi. Le tracce di un nuovo mondo risiedono nella nonviolenza come metodo di azione e stile di vita, corrispettivo spirituale del bene comune.

Un nuovo mondo comune cerca di farsi avanti e si deve liberare da molti fardelli: che ognuno mostri le sue mani di umile costruttore, le stringa con altri e lavori con umiltà e collaborazione.