La Bosnia Erzegovina è attesa a un importante appuntamento elettorale domenica prossima, 2 ottobre, quando i cittadini del Paese saranno chiamati a rinnovare il parlamento e la presidenza attraverso un totale di circa 5900 sezioni elettorali nel Paese e 21 seggi elettorali all’estero. Lo scenario che fa da sfondo a questa tornata elettorale è, tuttavia, sempre più profondamente segnato da annosi problemi sociali, riemergente tensione politica e consueta, purtroppo, retorica nazionalistica. La situazione sociale in Bosnia, evidenziata da diversi rapporti e analisti, è infatti drammatica; come ha indicato il recente report WPR (il “World Population Review”), la Bosnia Erzegovina soffre la più significativa riduzione della popolazione, in percentuale, tra diversi Paesi al mondo: ha registrato, in particolare, una riduzione su base annua pari a circa l’1,4% e negli ultimi dieci anni quasi mezzo milione di persone è emigrato dal Paese. Si stima che la Bosnia Erzegovina perderà il 40% della popolazione entro la fine del secolo; sebbene una crescita economica sia stata registrata nel periodo dal 2016 al 2019, l’andamento economico si è contratto nel 2020 (- 3,2%) e resta tuttora problematico a causa degli effetti delle politiche legate alla pandemia, della crescita dell’inflazione, nonché della crisi energetica e della crisi alimentare, aggravate dalla speculazione e dall’instabilità internazionale.

Lo sfondo economico e sociale del panorama elettorale

Il quadro economico generale del Paese lascia intendere che anche la crescita economica registrata negli ultimi anni si sia rivelata in ogni caso insufficiente per garantire adeguate condizioni di vita alla popolazione, per sostenere una crescita del benessere e delle opportunità e, più in generale, per impostare solide basi per lo sviluppo. A fronte del fatto che la Bosnia resta uno dei Paesi più poveri in Europa, con un prodotto lordo ancora inferiore ai livelli del 1990 e un tasso di disoccupazione superiore al 30%, gli analisti e gli osservatori ritengono che la riduzione della popolazione sia propriamente legata alle condizioni economico-sociali generali, all’incapacità delle amministrazioni di garantire i diritti e soddisfare i bisogni dei cittadini, alla mancanza di lavoro e di sviluppo e alle gravissime carenze dello stato sociale e dell’intero sistema delle protezioni sociali, dalla scuola alla sanità al welfare. Se la complessità dell’architettura istituzionale e del sistema amministrativo del Paese non facilitano la soluzione delle annose problematiche, i gruppi dirigenti hanno, non di meno, responsabilità non indifferenti, per una diffusa incapacità, in termini prospettici, di coniugare insieme le questioni della protezione sociale e dell’inclusione sociale, del lavoro e dello sviluppo, con quelle del consolidamento istituzionale e della costruzione della pace in termini di «pace positiva», a trent’anni dall’inizio delle ostilità e sullo sfondo di un lunghissimo dopoguerra; e per una radicata propensione, alimentata, per certi aspetti, dalla stessa architettura istituzionale post-Dayton, alla retorica nazionalistica e alla torsione, in chiave nazionale, del discorso pubblico e delle iniziative e dei programmi politici.

Tra tensioni politiche e retorica nazionalistica

La tensione politica e la retorica nazionalistica costituiscono due vere e proprie minacce nello scenario politico della Bosnia: la costruzione e il rafforzamento di partiti su base etnico-nazionale, se da un lato ha concorso a consolidare e cristallizzare la dinamica della separazione etnica e, come vedremo più avanti, del «consociativismo etnico-nazionale», dall’altro ha creato una sorta di “immagine deformata” della Bosnia, tradendo, per questa via, il carattere intrinsecamente multi-etnico, multi-religioso e multi-culturale del Paese. Un recente studio, condotto nel 2021 dal BIRN, il Balkan Investigative Reporting Network (Online Hate Speech Remains Unmoderated in Balkans, Balkan Insight, 21 giugno 2022) ha mostrato, tra le altre cose, la debolezza dei social media nel contrastare e rimuovere espressioni di odio e minacce di violenza, alimentando anche un dibattito sul ruolo e il condizionamento di siffatte modalità nello svolgimento e negli esiti della campagna elettorale in vista del 2 ottobre. Il tentativo, nel luglio 2022, dell’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Christian Schmidt, criticato da più parti, di modificare la legge elettorale ha costituito un’ulteriore fonte di tensione nello scenario sociale e politico del Paese: è stata avanzata cioè la decisione di una modifica della legge elettorale attraverso la quale rendere più stringenti le norme da rispettare in campagna elettorale e conferire alla Commissione elettorale centrale la facoltà di rimuovere dalle liste partiti o candidati responsabili di gravi violazioni di legge. Ha inoltre definito la casistica e proibito l’incitamento all’odio, disciplinato l’utilizzo dei mezzi di comunicazione (dalla carta stampata ai social media) e contrastato l’abuso di risorse pubbliche in campagna elettorale. Ha poi presentato una proposta di modifica della legge elettorale (attualmente basata sul principio della pari rappresentanza delle componenti nazionali che corrispondono ai «popoli costituenti» del Paese, con un rappresentante bosgnacco, un croato e un serbo per ciascun cantone ai fini della composizione della Camera dei popoli), con l’ipotesi per cui, se la loro presenza in un cantone della Federazione risultasse inferiore al 3%, non scatterebbe più il corrispondente rappresentante nella Camera dei popoli. Un’ipotesi che, oltre ad alterare il quadro consolidato post-Dayton, avrebbe come effetto, secondo alcune critiche, di avvantaggiare la componente croata, dal momento che comporterebbe un numero maggiore di seggi, provenienti dai cantoni a maggioranza croata, nella Camera dei popoli.

Il rompicapo istituzionale e la sfida elettorale

La Bosnia Erzegovina è, in effetti, un complesso sistema istituzionale basato su un «consociativismo etnico» che è, a sua volta, effetto delle divisioni prodotte dal conflitto etno-politico e dalla guerra del 1992-1995 e conseguenza del quadro istituzionale disegnato dagli Accordi di Dayton (1995). La Bosnia Erzegovina (BiH) è composta infatti da due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH), che comprende prevalentemente cittadini bosgnacchi e croati, e la Republika Srpska (RS), la Repubblica dei Serbi di Bosnia, che comprende prevalentemente cittadini serbi. Alle due entità, ciascuna dotata di un proprio presidente, di un proprio governo, di un proprio parlamento, di una propria architettura istituzionale e di una propria struttura amministrativa, si aggiunge poi il distretto di Brčko, che è etnicamente misto, detiene uno status speciale come unità di autogoverno locale all’interno della BiH e i cui cittadini votano alle elezioni della Federazione (FBiH) o della Republika Srpska (RS), a seconda della propria “cittadinanza di entità”: la Costituzione della Bosnia Erzegovina, infatti, istituisce non solo una «cittadinanza di Bosnia Erzegovina, disciplinata dalla Assemblea parlamentare» ma anche una «cittadinanza di ciascuna Entità, disciplinata dalla rispettiva Entità». La presidenza di Bosnia Erzegovina è, di conseguenza, una presidenza collegiale, a rotazione ogni otto mesi, composta da tre membri eletti a maggioranza semplice su due liste separate di candidati (un bosgnacco e un croato), ciascuno eletto direttamente dal territorio della FBiH (per cui un elettore della FBiH può votare per un candidato bosgnacco o croato) e un terzo membro (un serbo), eletto direttamente nel territorio della Republika Srpska. L’Assemblea parlamentare di Bosnia Erzegovina è articolata in due camere, una Camera dei popoli (con 5 rappresentanti per ciascun popolo costituente) e una Camera dei rappresentanti composta da 42 membri eletti direttamente: 28 eletti dai cittadini nella FBiH e 14 nella RS. In base ai dispositivi degli Accordi di Dayton e le rispettive Costituzioni, la FBiH ha una propria Camera dei popoli e una Camera dei rappresentanti, mentre la RS ha un Parlamento unicamerale (Assemblea Nazionale).

Elezioni tra sfiducia e disillusione

È questo lo sfondo istituzionale sul quale si staglia la tornata elettorale del 2 ottobre; si tratta propriamente di elezioni generali, dal momento che porteranno all’elezione della Presidenza collegiale e dell’Assemblea parlamentare di Bosnia Erzegovina (a livello statale) nonché della Camera dei rappresentanti della FBiH e della Assemblea Nazionale della Republika Srpska (a livello di Entità); quindi il presidente i vicepresidenti della RS e le dieci assemblee cantonali (a livello di Cantone) all’interno della FBiH. I tre componenti della presidenza collegiale saranno scelti in rappresentanza, come detto, dei tre «popoli costituenti», un serbo (attualmente Milorad Dodik), eletto dai cittadini e dalle cittadine della Republika Srpska; un bosgnacco (attualmente Šefik Džaferović) e un croato (attualmente Željko Komšić), eletti dai cittadini e dalle cittadine della Federazione (FbiH). Tra i candidati bosgnacchi, la sfida è tra Bakir Izetbegović (dell’SDA, il Partito di Azione Democratica, nazionalista), Denis Bećirović (dell’SDP, il Partito Social Democratico, principale espressione della opposizione al SDA, che, dalla fine della guerra, ha pressoché regolarmente espresso il membro bosgnacco della presidenza) e Mirsad Hadžikadić della “Piattaforma per il Progresso”. Tra i candidati serbi, la sfida è tra Željka Cvijanović (della SNSD, l’Alleanza dei Social Democratici Indipendenti, attualmente presidente della Republika Srpska), Mirko Šarović (del Partito Democratico Serbo, SDS) e Nenad Nešić, presidente dell’Alleanza Democratica del Popolo, entrambi di orientamento nazionalista e conservatore. Tra i candidati croati, la sfida è tra Željko Komšić (Fronte Democratico, di orientamento liberale) e Borjana Krišto (Unione Democratica Croata di Bosnia Erzegovina, HDZ BiH, nazionalista), già presidente della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) a cavallo tra il 2007 e il 2011. Elezioni importanti, dunque, circondate da più parti da sfiducia e disillusione, ma che si stagliano sullo sfondo di un panorama regionale segnato da conflitti e tensioni e di una pace ancora tutta da consolidare.