Di solito in carcere si pensa che la morte sia a portata di mano e che in un attimo ti possa dare la libertà, la serenità e la felicità. La Morte ti libera il cuore e l’anima, mentre il carcere te li divora, fino a che non resta più traccia di un essere umano in te. Nelle vostre Patrie Galere i prigionieri fanno la gara a chi si toglie la vita per primo: già 59 quest’anno, e quasi nessuno ne parla o ne scrive. Lo faccio io che me ne intendo.

Forse molti non sanno che il metodo che normalmente usa un prigioniero per togliersi la vita è semplice: prepara una fune, che può essere presa dalla cintola di un accappatoio o dai lacci delle scarpe o direttamente strappando delle lenzuola.

Poi prepara il cappio.

E lo fa passare intorno alle sbarre della finestra.

Dopo non rimane altro che salire su uno sgabello.

Infilare il cappio in testa.

E farlo scivolare sul collo.

Poi viene la parte più semplice, perché non rimane altro che dare un calcio allo sgabello.

Il carcere suscita spesso false speranze, forse per questo ho sempre pensato che non ce l’avrei mai fatta a morire un giorno da uomo libero.

Io ci ho pensato tante volte a togliermi la vita. Molte volte ho persino preparato la fune con il cappio. E alcune volte sono arrivato persino ad infilarmelo al collo. Non sono mai riuscito però, per fortuna o per sfortuna – a seconda dei punti di vista – a dare il calcio a quel cazzo di sgabello.

Pensandoci bene credo che se ho continuato a vivere l’ho fatto solo perché non volevo far morire il mio amore con me.

Purtroppo però molti miei compagni lo fanno. Per questo mi permetto di domandare ai magistrati: Perché non intervenite con delle azioni penali? Il colpevole ce l’avete già: il carcere! Mi permetto di ricordare anche che l’articolo 580 del codice penale “ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO” è chiaro e non c’è bisogno neppure di essere interpretato: “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. “

Su una popolazione di circa 54.000 detenuti, con circa 38.000 agenti sotto la loro sorveglianza 24 ore su 24 (in rapporto al numero di detenuti, in Italia siamo tra i paesi con più polizia penitenziaria in Europa), non sono poche 59 persone che invece di vivere preferiscono uscire dal carcere da morti. Forse un carcere cattivo li istiga o li aiuta a farlo.