Dal 20 al 27 agosto, dopo due anni di sospensione forzata a causa del Covid, si è svolto un nuovo “pellegrinaggio di giustizia” in Palestina organizzato da Pax Christi Italia, guidato da don Nandino Capovilla, Betta Tusset e Rossana Lignano, animatori della “Campagna Ponti e non Muri”.

Trentaquattro pellegrini hanno vissuto un’intensa settimana incontrando persone e visitando luoghi dove si realizzano esperienze di resistenza nonviolenta al regime di apartheid attuato dallo Stato di Israele, esplicitamente denunciato anche da Amnesty International.
Abbiamo chiesto ad alcuni partecipanti bolognesi una sintesi delle cose per loro più significative della visita.

“Il primissimo appuntamento è stato con il muro a Betlemme, chiusura di sicurezza contro il terrorismo per lo Stato d’Israele e in realtà strumento di segregazione razziale per i palestinesi: i graffiti di Banksy e di altri grandi artisti di strada, tra cui il napoletano Jorit, hanno fatto diventare quel tratto di muro un’esposizione di opere d’arte, che però non attenuano la violenza e la prevaricazione di una “infrastruttura” che ha reso marginale un quartiere della città, posto proprio all’ingresso della strada principale che arrivava da Gerusalemme e che prima era invece molto animato e pieno di negozi.
In quella zona il muro ha un percorso molto tortuoso perché ha inglobato e reso accessibile solo dalla parte israeliana la Tomba di Rachele; molte case palestinesi hanno dovuto pertanto essere “sacrificate”, ma Claire Anastas, una donna estremamente determinata, è riuscita a mantenere l’accesso alla sua casa che è però stata circondata su tre lati dal muro: il suo negozio lo si può allora trovare solo andandolo a cercare; poco lontano l’albergo decorato da Banksy offre anch’esso ai suoi ospiti la vista ravvicinata sul muro.
Dove invece sono riusciti a non far costruire il muro (in realtà un’alta rete metallica che ha la stessa funzione) è a Battir, un villaggio palestinese che continua a basare la sua economia sulla coltivazione di frutta e verdura su terrazzamenti coltivati ininterrottamente fin dal periodo bizantino e irrigati con acqua fornita da un acquedotto di epoca romana.
Battir dista pochi chilometri da Betlemme ed è ubicato accanto al confine (la linea verde definita alla fine della guerra del 1948), non fu occupato e distrutto dagli Israeliani come i villaggi posti dall’altra parte del confine e la sua “storia fortunata” negli ultimi settant’anni ha permesso di far nascere un movimento locale che è riuscito a far riconoscere dall’UNESCO Battir come sito patrimonio dell’umanità e a bloccare di conseguenza il piano israeliano di costruzione del muro che avrebbe impedito l’accesso ai terrazzamenti ai contadini di Battir.
Oggi Battir è anche una sorprendente meta turistica.

A Gerusalemme i “pellegrini di giustizia” hanno incontrato Jeremy Milgrom, tra i fondatori dell’associazione “Rabbini per i Diritti umani”, che difende in particolare la causa dei beduini.
Il rabbino Milgrom, figlio di un grande biblista e anche lui esperto teologo, vive con dolore l’involuzione d’Israele come Stato teocratico e razzista, lontano anni luce dal Paese che sognava e in cui emigrò quando era ancora adolescente.
La visita a Hebron, la maggiore città palestinese famosa per la grande moschea che custodisce le Tombe dei Patriarchi, è stata guidata da un attivista dell’associazione Youth Against Settlements:, che è tra i “pochi gruppi e individui in Hebron e in altre parti della Palestina, che mantengono uno spirito di speranza e nonviolenza, con il quale sono convinti di poter contribuire a un cambiamento positivo”.
A Hebron, nome ebraico che come il nome arabo Al Khalil significa “amico”, appare lunghissima la strada da percorrere per far riscoprire l’anima più vera che esprime il nome di quell’antichissima città dove per secoli, fino a quasi cent’anni fa, alcune centinaia di ebrei avevano sempre vissuto pacificamente insieme ai palestinesi.
Oggi i coloni ebrei che da quarant’anni occupano un pezzo della città si considerano invece nemici e trattano da nemici e da inferiori i palestinesi.

Nella parte più a sud della Cisgiordania altri coloni vivono in un insediamento costruito su collina a ridosso di un piccolo villaggio di pastori, At Twani.
I coloni hanno così tanta acqua disponibile per l’irrigazione da aver potuto realizzare frutteti in un territorio che è in pratica predesertico.
Due volontarie di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, monitorano ogni giorno l’area del villaggio per difendere in particolare i bambini da possibili attacchi o minacce da parte dei coloni.
I pellegrini di giustizia hanno camminato sulla povera terra, piena di pietre, che appartiene agli abitanti di At Twani, terreni che possono diventare frutteti solo se, requisiti, si ruba l’acqua dei palestinesi da qualche parte e la si fa arrivare con un grande tubo che la distribuisce solo alle colonie: questo è il metodo, non “esattamente sostenibile” che gli Israeliani usano per far fiorire il deserto.
L’ultimo incontro è stato con alcune famiglie di beduini, che il rabbino Milgrom e le suore Comboniane di Betania aiutano nella difesa dei loro diritti.
I beduini della Cisgiordania sono stati obbligati a diventare stanziali, non possono più muoversi alla ricerca di pascoli e vivere di allevamento; dove c’erano i pascoli migliori – un’oasi con sette sorgenti – hanno costruito vere e proprie città abitate da decine di migliaia di coloni, città che il Governo d’Israele vorrebbe ampliare occupando anche le aree marginali dove ci sono le baracche dei beduini.
Dopo aver mangiato in un grande ambiente coperto da tende, che non è permesso rendere più solido e più accogliente, i pellegrini hanno camminato per un paio di chilometri per tornare al loro pullman, che in pochi minuti è arrivato nell’insediamento ebraico, pieno di verde e anche di fontane!

Dentro Gerusalemme i pellegrini di giustizia hanno anche visto da vicino i “pellegrini normali”, quelli che visitano solo i luoghi sacri, che a volte non si accorgono neppure dell’esistenza del muro, che ad Hebron magari non vanno, che non hanno motivi e tempo per entrare in un insediamento di coloni e molto probabilmente continuano sinceramente a credere che gli Israeliani facciano fiorire il deserto.

Pax Christi, con la Campagna Ponti e non Muri, organizzerà in ottobre un nuovo pellegrinaggio di giustizia, rivolto soprattutto a giovani, che si caratterizzerà come “campo di lavoro per la raccolta delle olive e percorso di conoscenza e formazione nella Palestina occupata”.