Salve, mi chiamo Camilo Wajuyata. Sono un giovane Shuar di 32 anni della comunità indigena Chinimp (Palora, Ecuador) e sono sempre in prima linea con il mio popolo alla ricerca di qualsiasi supporto per collaborare allo sviluppo comune della nostra cultura Shuar.

Che cosa sta affrontando l’Ecuador in questo momento?

Una crisi economica che colpisce i contadini e gli agricoltori. Mancano anche le medicine e l’istruzione.

Come descriverebbe la crisi?

La crisi nel nostro Paese è già molto evidente a causa della mancanza di lavoro. I nostri fratelli e sorelle sono emigrati in altri Paesi e il paniere alimentare di base fornito dallo Stato non basta per una vita dignitosa.

Come sono le proteste?

Con le proteste chiediamo l’accettazione delle nostre 10 richieste generate all’interno della CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador), in modo che anche la nostra popolazione ne tragga benefici.

Le proteste indigene a livello nazionale sono pacifiche; ci siamo fatti sentire in tutto il Paese con l’obiettivo di essere seguiti nelle nostre richieste. Purtroppo, però, siamo stati brutalmente attaccati da questo governo con gas lacrimogeni e alcuni dei nostri fratelli e sorelle sono stati arrestati.

Questo governo ci ha definito terroristi e narcotrafficanti solo per aver difeso i nostri diritti e mantenuto la nostra resistenza indigena a livello nazionale. Siamo le comunità indigene Shuar, Achuar, Kichua dell’Amazzonia, Huaorani, Cofan, Zapara. Nelle manifestazioni portiamo sempre le nostre lance per farci riconoscere, ma siamo molto rattristati dal fatto che il governo neoliberista del presidente Guillermo Lasso che le abbia definite armi. Non sono armi, sono il nostro modo di presentarci e identificarci a livello nazionale e internazionale.

Come descriverebbe le caratteristiche della crisi come causa di violenza nei confronti della popolazione dell’Ecuador?

La crisi ha colpito il nostro Paese a livello nazionale e ha generato violenza in termini di sfruttamento del lavoro in tutti i settori.

Immagine di Camilo Wajuyata

A che tipo di violenza è esposto il Paese?

Violenza sul lavoro: molte persone sono sottopagate, ma per necessità devono sottostare ai lavori forzati per coprire i bisogni delle loro famiglie. Nel mondo del lavoro il modo in cui i nostri fratelli vengano sfruttati è molto noto a livello nazionale.

Violenza economica: dal punto di vista economico, il loro lavoro viene pagato molto poco.

Violenza sui minori: è un peccato che i nostri figli, che potrebbero andare a scuola, debbano lavorare.

E come vengono colpite le persone di diversa estrazione sociale ed economica?

Dal punto di vista sociale, è chiaro che la nostra società è la più colpita, perché ha le sue piccole imprese e la sua economia è molto complicata per la via della necessità di coprire i debiti per poter mantenere un reddito.

Qual è la sua situazione personale?

La mia situazione personale è molto complicata perché il mio lavoro è in campagna e in questo settore siamo stati molto colpiti. Ma siamo ancora lì, nella lotta continua per uscire da questa crisi nazionale.

Cosa è cambiato nella vita di tutti i giorni?

A quanto pare niente, perché si torna sempre alla stessa situazione: molte ingiustizie a livello nazionale e un forte calo delle vendite dei nostri prodotti.

Come reagiscono e agiscono le persone collettivamente?

La nostra gente spera sempre in un cambiamento generale in tutti i sensi, perché il nostro Paese è stato colpito in tutti i settori. Per questo motivo dobbiamo far sì che i nostri prodotti vengano esportati in altri Paesi del mondo.

La collettività può essere una forza in questa situazione?

No, perché molte persone della classe superiore non sono d’accordo con le richieste della classe inferiore. Per questo motivo, chi si batte sempre per i diritti e i doveri del nostro Paese sono le popolazioni indigene.

Qual è la sua personale fonte di speranza in un’epoca così violenta?

L’unica speranza che ho mantenuto è quella di invitare tutti i leader e i capi di diversi popoli e nazionalità a mantenere la nostra richiesta di essere ascoltati e seguiti in modo adeguato e responsabile. A loro dico sempre che il popolo salva il popolo.

Ci sono raggi di speranza?

Sì, ma per questo dobbiamo eleggere un presidente che abbia toccato la realtà di molti bisogni. Speriamo di poter eleggere un presidente consapevole della situazione di tutto il popolo ecuadoriano. Per questo vogliamo eleggere il nostro massimo leader indigeno Leonidas Iza, un uomo che ha sempre vegliato sulla nostra popolazione senza guardare alle classi sociali.

Immagine di Charly Wajuyata

Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid. Revisione di Anna Polo