Nell’ambito della settimana della stampa e dei media organizzata dalla Federazione professionale dei giornalisti del Québec, Pressenza Québec ha organizzato una conferenza web dal titolo: “Il giornalismo nonviolento e impegnato in tempi di insicurezza sociale globale”.

I principali punti del giornalismo nonviolento sono stati presentati dagli editori dell’agenzia stampa Pressenza: Tatiana De Barelli (Belgio), Anne Farrell (Québec), Tony Robinson (attivista del Movimento Umanista, editore per Pressenza a Londra e direttore della Middle East Treaty Organisation, e David Anderson, editore e coordinatore dell’ufficio di New York e conduttore del talk show “Face 2 Face”.

Ecco la relazione della conferenza svoltasi il 3 maggio.

Intervento di Anne Farrell, editrice di Pressenza Québec

Oggi, la probabilità che scatti una guerra nucleare è molto reale. Stiamo vivendo tempi bui e difficili. Qualche mese fa, se vi avessi detto che una guerra nucleare poteva scoppiare in qualsiasi momento, avreste detto: “No, è impossibile!” Eppure oggi rappresenta l’emergenza più cruciale ed è in gioco la sopravvivenza dell’umanità!

Quando ci guardiamo intorno, vediamo che ci sono molti problemi sociali, economici e ambientali, e tanti conflitti. Siamo di fronte all’evidenza del fallimento di un sistema basato sulla metodologia della violenza, il cui valore centrale è il denaro! Siamo di fronte all’evidenza che si tratta di una crisi generalizzata.

Dobbiamo affrontare i temi di questa crisi generalizzata e dare priorità alle proposte che ci permettono di riflettere a delle vie d’uscita dalla crisi, sia a livello sociale che personale. Di fatto, si tratta di un approccio nonviolento all’attualità, si tratta di allargare lo sguardo. Dal punto di vista giornalistico, vogliamo spostare l’attenzione dalla colpevolizzazione alla responsabilità. Vogliamo trasformare il bisogno di vendetta o di punizione nel bisogno di giustizia, comprese la riparazione e la riconciliazione.

In che modo il giornalismo nonviolento affronta questi temi?

Diffondendo informazioni sul disarmo nucleare globale, che promuovono il ritiro dai territori occupati e dai paesi occupati e la firma di trattati di non aggressione tra paesi; informazioni che denunciano i governi che usano la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti e l’aumento degli armamenti un po’ ovunque nel mondo.

Ma il compito più urgente di un giornalismo nonviolento e impegnato è quello di sensibilizzare la popolazione alla pace e alla nonviolenza. Per riuscirci ci affidiamo alla “coscienza” della nonviolenza che si sta svegliando in tutto il mondo. Qui non stiamo parlando solo di violenza fisica, ma pure di violenza economica, razziale, religiosa e di genere.

Proprio come la consapevolezza ambientale è ormai radicata un po’ ovunque nella società, la consapevolezza per la nonviolenza deve mettere radici. Peraltro, siamo molto, molto indietro nella comprensione e nella sensibilizzazione della popolazione verso la violenza diffusa. Infatti, è la difesa della vita umana a livello sia locale sia globale che deve prendere piede. Perché la difesa della vita umana non è tuttora radicata nelle nostre società. Lo dimostra il fatto che, in questo preciso momento, ci sono 2.000 ordigni nucleari pronti per essere lanciati; bastano soltanto alcuni minuti per farlo.

Intervento di Tony Robinson, editore di Pressenza Londra

Oggi parlerò delle armi nucleari e del perché tutti sono preoccupati dalla possibilità di una guerra nucleare. È in atto una guerra tra le due maggiori potenze nucleari del mondo, gli Stati Uniti e la Russia. Queste potenze da sole hanno più di 10.000 armi nucleari, e circa 2.000 di queste sono in stato di massima allerta. Questo significa che qualora venga dato l’ordine di lanciarli, il tempo di lancio è inferiore a 15 minuti.

Per prima cosa, parliamo di cosa fanno le armi nucleari. Solo due volte nella storia sono state usate in una guerra: nel 1945, le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki furono distrutte da due piccoli ordigni nucleari. Con queste due bombe, 210.000 persone morirono istantaneamente o in pochi giorni a causa delle esplosioni, degli incendi e dell’avvelenamento da radiazioni. In seguito, da 2 a 3 volte quel numero di persone sono morte per gli effetti della radioattività, sia sugli adulti sia sui loro figli e nipoti. In totale, il numero di persone che hanno perso la vita a causa di queste due piccole bombe corrisponde approssimativamente alla popolazione della città di Québec (531.900 persone).

Oggi, nove paesi nel mondo detengono armi nucleari: la Russia ne possiede 6.255, gli Stati Uniti 5.550, la Cina 350, la Francia 290, il Regno Unito 225, Israele 90, il Pakistan 165, l’India 156 e la Corea del Nord 40. Ognuna di queste bombe è molto più potente di quelle lanciate su Hiroshima e Nagasaki.

Abbiamo un’idea delle conseguenze di una guerra nucleare sul pianeta grazie a un gruppo di esperti chiamato International Physicians for the Prevention of Nuclear War, che ha pubblicato uno studio allarmante nel 2013. Il rapporto era intitolato “Carestia nucleare: due miliardi di persone a rischio”. Questo rapporto descriveva gli effetti di un ipotetico conflitto nucleare tra due piccole potenze nucleari: India e Pakistan.

Lo scenario prospettato era un conflitto nucleare tra questi due paesi. Il presupposto era che i due paesi avrebbero usato ciascuno 50 missili di potenza simile a quelli usati in Giappone, colpendo le principali città di entrambi i paesi.

Hanno stimato che 100 missili sparati su 100 città causerebbero 100 incendi. Più di 20 milioni di persone morirebbero nella prima settimana a causa di esplosioni, incendi e danni da radiazioni. Questo è già abbastanza orribile, ma è solo l’inizio.

Hanno poi stimato che le tempeste di fuoco vomiterebbero circa 5,5 milioni di tonnellate di fuliggine nera nell’atmosfera. Tutta questa fuliggine bloccherebbe i raggi del sole, raffreddando il pianeta e provocando siccità, essendoci meno precipitazioni col fatto che meno acqua potrebbe evaporare. Questo accorcerebbe la stagione di crescita vegetale. Inoltre, lo strato di ozono sarebbe danneggiato, permettendo alle pericolose radiazioni ultraviolette di raggiungere la superficie terrestre.

L’impatto sulla stagione di crescita vegetale avrebbe un effetto profondo sulla produzione alimentare in tutto il mondo. Non solo in Asia meridionale, ma anche in Africa, America Latina, Cina, Russia, Stati Uniti ed Europa. Entro un anno, su tutto il pianeta, si assisterebbe ad una drastica diminuzione della produzione di cibo dai campi di grano, riso, mais e tutte le altre colture.

La produzione di mais e soia negli Stati Uniti diminuirebbe del 10%, quella di riso in Cina del 20%. Sempre in Cina la produzione di grano crollerebbe del 50%, e così via. Oggi, ci sono poco meno di un miliardo di persone sul pianeta che già soffrono di malnutrizione, ingerendo meno di 1.750 calorie al giorno. Sono le stesse persone che hanno meno controllo sul proprio destino e meno accesso al cibo, sarebbero quindi a rischio immediato di morire di fame. Ma con tali cali nella produzione di cibo, sarebbero centinaia di milioni di persone in più a sprofondare nella malnutrizione, a dovere lottare per sopravvivere.

Di conseguenza, quella guerra pure confinata scatenerebbe una carestia globale tale da mettere a rischio di morte per fame fino a 2 miliardi di persone. Sarebbe un evento senza precedenti nella storia.

Sarebbe la fine della civiltà come la conosciamo. Tutto ciò che ci è caro, tutto ciò che amiamo e custodiamo scomparirebbe. Che valore avrà il denaro in una tale situazione? Possiamo mangiare i soldi? Che valore avranno gli altri esseri umani quando noi avremo fame? Chi rispetterà lo stato di diritto quando non sapremo se mangeremo domani? Chi aspetterà pazientemente in fila per pagare la spesa al mercato?

E se vivete vicino al luogo dove è scoppiata una di quelle bombe, sarete completamente abbandonati. Il vostro telefono cellulare non funzionerà più, perché l’impulso elettromagnetico innescato dall’esplosione metterà fuori uso le reti elettriche e di telecomunicazione. Sarete letteralmente nell’oscurità e nel silenzio, senza sapere cosa succede nel mondo esterno, senza sapere se arriveranno aiuti umanitari.

E, di fatto, non ci saranno aiuti umanitari. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa lo ha chiarito: non c’è risposta umanitaria possibile.

A Hiroshima e Nagasaki, il 90% delle strutture mediche sono state distrutte dalle due bombe. A Hiroshima, dei 300 medici della città furono uccisi in 270, così come 1600 delle 1700 infermiere. Quali paesi invieranno aiuti umanitari? In quali istituzioni lavoreranno i soccorritori? Come potranno le organizzazioni umanitarie proteggere i loro lavoratori dalle ricadute che ricopriranno tutto di polvere radioattiva? Come faranno i soccorritori ad avere accesso all’elettricità per far funzionare le loro macchine? Come potranno portare cibo per il proprio sostentamento, sapendo che coloro che curano non vi avranno accesso?

Tutto questo è impensabile e bisogna impedire che accada.

Parliamo chiaro, sono i paradigmi del sistema mondiale attuale ad aver creato la situazione in cui ci troviamo ora, ed è soltanto quando questi paradigmi cambieranno che avremo la possibilità di cambiare il corso della civiltà umana.

Ma qual è il paradigma centrale su cui si basa la nostra società globale? Sono sicuro che lo sapete tutti: il valore più importante in questa società è il denaro. La differenza tra averlo e non averlo è letteralmente la differenza tra vivere o morire.

Questa è l’unica ragione per cui esistono le armi nucleari. Abbiamo trasformato il denaro da semplice strumento di scambio di beni e servizi in qualcosa da accumulare ad ogni costo: a costo del nostro benessere, ma soprattutto a costo del benessere di tutti gli altri esseri umani e di tutte le altre forme di vita sul pianeta. Alcune persone, per potersi procurare somme di denaro scandalose – somme che richiederebbero migliaia di vite per essere spese – devono avere accesso alle forme più estreme di violenza per imporre la propria volontà agli altri.

Questa violenza si presenta in varie forme: economica, psicologica, sessuale, ecc., ma la forma peggiore è la violenza fisica. E la peggiore forma di violenza fisica, oggi, è l’arma nucleare.

Per eliminare le armi nucleari dal pianeta, dobbiamo sforzarci di cambiare i paradigmi su cui poggiano le nostre società.

L’emancipazione delle donne, l’eliminazione della povertà, la lotta alla distruzione dell’ambiente e al cambiamento climatico, la pace, i diritti dei bambini, la lotta per la diversità sessuale e le diverse sessualità, la lista è lunga. Tutti questi temi implicano lo stesso presupposto: considerare la vita umana come valore centrale, e ridimensionare il valore del denaro a quello di mero strumento, così com’è stato prevalentemente nel corso della storia umana.

Tatiana De Barelli

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Nell’agenzia stampa internazionale Pressenza diamo spazio a tutte quelle persone, movimenti e organizzazioni che si impegnano sinceramente per cambiare il paradigma sociale. Con una linea editoriale chiara, una prospettiva costruttiva e uno spirito collaborativo di reciprocità, speriamo di contribuire ad offrire a tutti i cittadini delle informazioni pertinenti con cui potere cambiare veramente il corso della storia umana.

Poiché il giornalismo nonviolento è anche un’educazione, un nuovo modo di guardare il mondo, offriamo formazione in francese, inglese e spagnolo. Le informazioni sono disponibili sul sito di Pressenza.

Traduzione dal francese di Dominique Florein. Revisione di Thomas Schmid