Dopo l’uscita di Fabrice Leggeri occorre accertare le responsabilità di ministri e Commissari europei

Secondo quanto risulta dai comunicati ufficiali “a seguito delle indagini dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) nei confronti di tre membri del personale di Frontex, compreso il direttore esecutivo dell’Agenzia, il consiglio di amministrazione di Frontex si è riunito il 28 e 29 aprile 2022. In tale riunione, il direttore esecutivo ha dichiarato le sue dimissioni da tutte le sue funzioni con effetto immediato e la sua intenzione di cessare il suo rapporto di lavoro nell’Agenzia”.

Il consiglio di amministrazione ha preso atto di quanto dichiarato da Fabrice Leggeri ed ha dichiarato risolto il suo rapporto di lavoro con l’agenzia. Allo stesso tempo, in considerazione delle dimissioni del direttore esecutivo, il consiglio di amministrazione ha deciso che “l’avvio di ulteriori procedimenti contro il direttore esecutivo in relazione al rapporto dell’OLAF del 15 febbraio 2022 non è più necessario, poiché l’esito di tali procedimenti non influirà più sulla posizione del Direttore esecutivo”. Una decisione che sembra rientrare in uno scambio tra le dimissioni di Leggeri e il silenziamento delle indagini sull’operato dell’agenzia alle frontiere esterne, su cui da anni si erano accumulati esposti, anche alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che deve ancora pronunciarsi, e denunce a livello politico che non avevano indotto però la Commissione europea a modificare la sua posizione di totale copertura verso le scelte del Direttore Leggeri e le prassi operative di Frontex e del suo board.

Un direttore esecutivo ad interim per Frontex dovrebbe essere nominato quanto prima e comunque al più tardi nella riunione del Consiglio di amministrazione del giugno 2022. A tal fine, il Consiglio di Amministrazione ha chiesto alla Commissione Europea di avviare gli atti necessari per consentire tale nomina. con un bando pubblico.

Nella sua lettera di dimissioni Leggeri fa un velato riferimento ad un “cambio del mandato” di Frontex, ma non ne fornisce elemento alcuno, trattandosi peraltro di una agenzia autonoma rispetto all’Unione europea, che ha avuto nel tempo enormi margini di discrezionalità che lo stesso Leggeri ha gestito anche nei rapporti con i paesi terzi e con le industrie fornitrici di attrezzature militari.

 

Dal 2019 Frontex è stata coinvolta in molteplici accuse di violazione dei diritti fondamentali, sono stati aperti diversi casi giudiziari relativi alla assenza di trasparenza. Nel dicembre 2020, l’OLAF aveva fatto un accesso negli uffici del direttore esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri e del suo capo di gabinetto Thibauld de la Haye Jousselin, a seguito delle accuse di coinvolgimento di Frontex in respingimenti nell’Egeo. L’indagine dell’OLAF è proseguita per tutto il 2021. Nel frattempo sono state avviate indagini da parte del Mediatore europeo, su sollecitazione di Statewatch, della Commissione LIBE del Parlamento europeo, del Consiglio di amministrazione della stessa agenzia e due casi sono stati aperti contro Frontex presso la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) .

L’inchiesta dell’OLAF scaturita anche dalle denunce di numerose ONG, non sembra però chiusa del tutto. Il consiglio di amministrazione adotterà ulteriori iniziative per quanto riguarda gli altri due membri del personale menzionati nella relazione dell’OLAF. Secondo le conclusioni del consiglio di amministrazione, in ogni caso, “un controllo effettivo delle frontiere e la protezione dei diritti fondamentali sono pienamente compatibili. Il mandato dell’Agenzia è chiaramente definito nel Regolamento ECG”.

Ma il complesso normativo che disciplina l’operato di Frontex è più ampio di quanto ricordato dal suo Board. Si tratta non solo del Regolamento europeo n.1896 del 2019, che ridefinisce Frontex come Guarda di frontiera e costiera europea, e ne rafforza il livello di collaborazione con Interpol e con l’operazione Eunavfor Med, ma anche del Regolamento n. 656 del 2014, che stabilisce regole imperative per i soccorsi in mare, che non sono state mai abrogate, ma che risultano violate in numerose circostanze, sia nell’Egeo che negli altri settori dl Mediterraneo. Un Regolamento che stabiliva la prevalenza della salvaguardia della vita umana sulle pratiche di “difesa dei confini”, che il board di Frontex e il suo Direttore hanno sistematicamente ignorato , soprattutto da quando sulla base di quanto deciso dalla Commissione europea (14 ottobre 2015) e dal Consiglio UE (17 dicembre 2015), nel 2016 prendeva avvio il ritiro degli assetti navali prima presenti nel Mediterraneo, con l’operazione Triton e poi con gli accordi con i paesi terzi e con il supporto offerto alla criminalizzazione dei soccorsi umanitari. In ogni caso le responsabilità di Frontex e del suo board, con la copertura dei vertici dell’Unione Europea vanno ben oltre i respinimenti (push back) collettivi illegali nelle acque dell’Egeo. E sono tutti da chiarire i rapporti di Frontex con la industria delle armi e con le istituzioni universitarie con contratti che non garantiscono ancora il rispetto effettivo dei diritti umani.

Quanto interesse ha avuto l’Unione Europea per le vite dei migranti forzati in fuga verso le frontiere esterne dei paesi Schengen? E quanti politici europei hanno lucrato sui porti chiusi e sulle frontiere armate ?

 

Le dimissioni di Leggeri potrebbero coprire un ulteriore fuga dalle responsabilità della Commissione Europea. Il commissario per gli affari interni dell’UE, Ylva Johansson, avrebbe infatti rischiato di finire davanti alla Corte di giustizia in Lussemburgo proprio per un caso che riguardava le indagini su Frontex. Giovedì (24 marzo) il Commissario aveva ricevuto un atto notificato da Front-LEX, un’organizzazione della società civile con sede in Olanda che difende i diritti di rifugiati e migranti, nel quale si chiedeva di presentare entro 60 giorni una proposta per il licenziamento del Direttore di Frontex Fabrice Leggeri. Secondo quanto affermato in una lettera di 13 pagine dagli avvocati di Front-Lex Omer Shatz e Iftah Cohen, si poteva configurare a carico del Commissario, ove non fosse intervenuto per il licenziamento del direttore Leggeri, una “mancata azione” ai sensi dell’articolo 265 del trattato UE. Dove le ONG e la società civile hanno insistito con le denunce sono risultate vincenti, mentre sono state marginalizzate dove hanno accettato logiche di compromesso con i governi.

Appare in ogni caso evidente la necessità di proseguire con le denunce e le inchieste, a fronte di una linea operativa di Frontex e dei suoi agenti che è stata sempre supportata dalle decisioni del Consiglio e della Commissione Europea, dal 2015 ad oggi. Neppure il Parlamento europeo, che aveva varato una Commissione di inchiesta, nel corso di diverse audizioni, era riuscito ad ottenere non solo le dimissioni di Legeri e del suo board, ma un brandello di informazioni trasparenti sull’operato dell’Agenzia e sui suoi rapporti con i paesi terzi ai fini del respingimento collettivo di migranti. Finalità che l’agenzia perseguiva (e continua a perseguire) in stretta collaborazione con le forze di polizia e con i ministri dell’interno dei paesi che hanno stretto accordi bilaterali di collaborazione con paesi terzi, come nel caso dell’Italia il Memorandum d’intesa Gentiloni- Minniti del 2 febbraio 2017, prontamente ratificato a livello europeo dal Consiglio dei ministri informale di Malta del 3 febbraio 2017.

Lo stesso Leggeri aveva “brillantemente” difeso le prassi operative e la politica di Frontex, nel corso di una audizione a ottobre dello scorso anno a Palazzo San Macuto, presso la Commissione parlamentare Schengen. Non era del resto difficile difendere la politica dei respingimenti collettivi (push back) illegali nel Mediterraneo in un paese che aveva rinnovato gli accordi bilaterali con la Libia, e con altri paesi come l’Egitto, nei quali non si poteva certo parlare di protezione dei diritti umani. Nei fatti, con l’attiva collaborazione di Frontex, si è riusciti ad aggirare il divieto di respingimento sancito dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi. E’ bastato delegare i compiti di blocco alla sedicente Guardia costiera “libica” alla quale si garantivano informazioni e mezzi, soprattutto grazie agli accordi bilaterali negoziati dall’Italia, e non è stato più necessario esporre a rischi personale militare europeo, e quindi vertici politici, o interi Stati, come si era verificato nel caso dei respingimenti collettivi in Libia eseguiti dalla motovedetta Bovienzo della Guardia di finanza, il 6 maggio del 2009.

Negli ultimi anni l’uso degli aerei e dei droni di Frontex ha permesso respingimenti collettivi su delega che hanno eluso le leggi nazionali e le direttive europee in materia di protezione internazionale, ed i principi sanciti dal diritto internazionale in materia di soccorsi in mare.

 

per ulteriori approfondimenti vedi A-dif.org