Alzi la mano chi in questi giorni non ha avvertito un senso di disagio nel sentirsi una volta di più ripetere quella citazione di Eschilo: “In tempi di guerra la prima vittima è la verità…” Solo in parte vero: in tempi di guerra, la prima vittima è tutto ciò che non è guerra. Che passa in secondo piano, azzerato dalla prioritaria esigenza di difendersi anche senza le bombe, schierarsi da una parte o dall’altra. In tempi di guerra la prima vittima è la capacità di vedere. Flussi migratori sempre più invisibili, case sgomberate con il ‘consueto’ uso della forza pubblica, arresti e detenzioni che si aggiungono ai già tanti dietro le sbarre, nel più totale silenzio.

E’ quanto è successo qualche giorno fa all’attivista NoTav Stefano Mangione, dal 1° marzo alle Vallette di Torino: 1 anno e sei mesi è la condanna che gli toccherà scontare per aver provato ad appendere uno striscione nello spiazzo esterno al Tribunale, durante uno dei tanti presidi di solidarietà in occasione di un’udienza processuale, nel lontano luglio 2013. Come se il Carcere Le Vallette di Torino non fosse già abbastanza saturo… Come se il sistema giudiziario italiano non avesse ben altri reati da indagare a condannare… Come se azzardarsi a stendere uno striscione tra due piloni possa davvero considerarsi un reato!

La notizia di cotanta severa sentenza risale a qualche giorno fa, 1° marzo e nella cappa di invisibilità creata dal conflitto rosso-ucraino non ne ha parlato nessuno, eccezion fatta per il sito NoTavInfo che ha tratteggiato il profilo di un “compagno sempre presente a tutti i presidi e manifestazioni, generoso, coraggioso (…). Ancora una volta la lunga mano della ‘giustizia’ torinese si è scatenata su un No Tav che da tanti anni si oppone alla costruzione di quest’opera ecocida.”

Chi lo conosce un po’ più da vicino, per aver condiviso con lui una quantità di situazioni, conferma con toni di sincero affetto: un attivista “sempre presente e generosissimo, uno che ogni volta che può prende e parte: lo trovi al CPR di Via Corelli a Milano, come al presidio contro gli sfratti che quotidianamente si verificano qui a Torino, come lassù in Val Susa… uno che si muove anche da solo, che si stampa i volantini in proprio, che non ha bisogno di assemblee… Un convinto animalista, al punto che quando si trovò con il circo a due passi da casa sua, non esitò a inscenare un sit-in di protesta per denunciare la costrizione degli animali in gabbia… Un tipo così.”

E veniamo a quel presidio che lo incrimina, avvenuto il 26 luglio 2013. All’interno del Tribunale di Torino è in corso l’udienza per le violenze subite dall’attivista Marta, durante gli sgomberi di quella partecipata roccaforte in Val Clarea che pochi mesi prima il Movimento NoTav aveva cercato con ogni mezzo di difendere. Sgomberi violentissimi, con la caccia ai NoTav anche di notte, tra i boschi intossicati di gas lacrimogeni – come ebbe modo di documentare il regista Carlo Amblino nel film Archiviato. Un film che non sarebbe stato possibile senza i filmati delle stesse Forze dell’Ordine e che varrebbe la pena rivedere oggi, per rendersi conto della violenza che un’intera valle ha subito e del meticoloso lavoro di insabbiamento dei ripetuti abusi da parte della magistratura.

Il film si conclude proprio con il caso di Marta, attivista di Pisa, impegnata nel mondo del volontariato, da sempre vicina al popolo palestinese, praticamente di casa in Val Susa (come tantissimi in quegli anni) durante quella stagione di più intensa opposizione al progetto della Torino Lione. Ed eccola appunto nelle sequenze che la ritraggono in stato di visibile shock, dopo quella notte di violenti scontri, il volto ridotto a una maschera di sangue per una manganellata, mentre racconta di essere stata trascinata via dagli sbirri e per di più molestata, toccata nelle parti intime, insultata con ogni genere di epiteti. Per questo era stata fissata l’udienza del 26 luglio 2013 al Tribunale di Torino: per appurare le responsabilità di quegli agenti che era riuscita a riconoscere, grazie alla serietà delle indagini dell’Avv.ssa Valentina Colletta che l’assisteva e sulla scorta delle riprese effettuate dalle stesse Forze dell’Ordine.

Anche quell’udienza si concluse con l’ennesimo vergognoso verdetto: ‘Archiviato’! Un cerotto ancora ben visibile sul labbro di Marta, che era stato massacrato mesi prima, non bastò a sollecitare l’esatta ricostruzione degli eventi da parte del PM Rinaudo, che peraltro era stato presente alla notte degli scontri. E anzi l’udienza registrò momenti di particolare tensione quando Marta subì l’ulteriore mortificazione di sentirsi tacciata di ‘vittimismo’ solo perché in difficoltà, quando stava per riconoscere i suoi molestatori.

Mentre all’interno del Tribunale di Torino la ‘vittimista’ Marta subiva quell’ennesima violenza, nel piazzale antistante la Corte di (cosiddetta) Giustizia ecco il nutrito gruppo di uomini e donne sceso a Torino dalla Val di Susa per manifestare solidarietà alla compagna, per denunciare la situazione di crescente militarizzazione che vedeva sotto assedio il loro territorio – e l’ancor più numerosa pattuglia di agenti pronti a intervenire.

Al tentativo di appendere uno striscione sulla cancellata dell’edificio, come già si era fatto mille volte, la polizia rispose caricando, con manganellate talmente violente da ferire gravemente alcuni dimostranti, uno dei quali venne poi ricoverato in ospedale.

Insomma, un presidio che era stato concepito come dimostrazione di vicinanza a Marta per le violenze subite finì per generare altri capi d’accusa e imputati.

Fra questi Stefano Mangione, che si trova ora in carcere con il solito capo d’accusa di “resistenza aggravata”. Vicenda abbastanza surreale …? Meritevole di essere almeno un po’ guardata …?

L’indirizzo per chi volesse scrivergli:

CASA CIRCONDARIALE LORUSSO E CUTUGNO

VIA MARIA ADELAIDE AGLIETTA, 35

10151 – TORINO (TO)