Sono passati già quattro anni da quella drammatica notte del 14 marzo 2018 in cui Marielle Francisco Da Silva, per tutti Marielle Franco, perse la vita insieme al suo autista Anderson Gomez, nella città che l’aveva vista nascere 39 anni prima: Rio De Janeiro.

La notizia fece il giro del mondo arrivando anche qui in Italia, inaspettata e feroce, come i nove colpi di arma da fuoco che l’avevano stroncata. La sua uccisione ferisce il mondo intero non solo per la brutalità dell’atto in sé, ma ancor più per il significato che riveste: la palese volontà di mettere a tacere chi denuncia il malaffare cercando di cambiare la realtà esistente.

Perché Marielle era diventata un simbolo per i diritti umani, portando anche la voce delle emarginate e degli emarginati negli scranni della politica. Era donna, madre, nera, lesbica, socialista, proveniente da una favela e aveva a lungo militato contro la legittimazione delle milizie armate nelle zone urbane marginali, proprio perché abbandonate dallo Stato, rendendo in questo modo i loro abitanti vittime sia dell’assenza del medesimo, che della violenza della polizia e delle milizie armate.

Come attivista prima e consigliera comunale poi, quale Presidente della Commissione per la difesa delle donne e membro della Commissione incaricata di monitorare l’azione della polizia federale di Rio De Janeiro, aveva ripetutamente denunciato gli abusi della polizia e le violazioni dei diritti umani nella città di Rio. Nel fare questo Marielle raccoglieva una lunga tradizione di lotta delle donne nere della classe popolare, riuscendo però a ispirare e coinvolgere anche i bianchi e le bianche delle classi più abbienti, in un Paese in cui la separazione in base alla classe sociale e al colore della pelle è ancora molto forte.

Marielle era riuscita infatti a incarnare la più universale delle lotte: quella degli oppressi contro gli oppressori e proprio per questo la sua azione aveva valicato e travolto i confini del suo Paese.

La Redazione di Pressenza Italia, da sempre impegnata a dare voce a quanti normalmente non ce l’hanno, per la diffusione di una cultura dell’inclusione, della nonviolenza e del rispetto dei diritti umani, non può che raccogliere questa preziosa eredità e chiedere che i mandanti della brutale uccisione di Marielle Franco vengano finalmente assicurati alla giustizia per mezzo di un giusto processo.

È necessario lanciare un forte segnale di discontinuità con il passato, facendo in modo che tutti abbiano il diritto di levare la propria voce. Lo dobbiamo a Marielle, alla sua famiglia e a tutte le persone che nel mondo intero credevano e continuano a credere nell’ideale che lei rappresenta.

Come leggiamo nei cartelli che la ricordano: Marielle e la sua lotta sono presenti oggi più che mai. Perché la sua lotta è quella di ognuna e ognuno di noi.