La pandemia, come la crisi energetica, l’aumento delle materie prime o la scarsità di semilavorati sono manifestazioni della più generale crisi ambientale e climatica. Il modo in cui le classi dominanti stanno rispondendo alla pandemia mette in luce gli strumenti con cui si apprestano ad affrontare anche le conseguenze (non le cause) della crisi climatica, tra cui:

  • una distinzione sempre più drastica tra eletti – la popolazione di alcuni paesi “sviluppati” e le élite di quelli emarginati – e i dannati: tutti gli altri. La mancata liberalizzazione e distribuzione dei vaccini ne sono una evidente manifestazione. Così come si apprestano a difendersi dalle conseguenze della crisi climatica – soprattutto le migrazioni di massa – trasformando i confini in fortezze;
  • l’adozione di misure standard uguali per tutti (tranne che per le élite): disinformazione, vaccini che escludono cure personalizzate; intervento a posteriori invece di prevenzione; prescrizioni per lo più insensate e contradditorie, “di immagine” anche quando dimostrate inefficaci;
  • il disciplinamento dei comportamenti attraverso misure selettive che erodono i diritti più elementari: lavoro, reddito, mobilità, socialità, istruzione, accesso alla sanità e al welfare fino al paradosso del green pass che rende “obbligatorio” ma “volontario” il consenso al vaccino;
  • la promozione, attraverso i media, di una contrapposizione sempre più violenta tra due comparti della società: quelli che si considerano protetti dalle misure adottate e quelli che se ne ritengono danneggiati o emarginati. Una contrapposizione che nemmeno l’atteggiamento verso le migrazioni – fino a ieri elemento di maggiore conflitto politico-culturale ed etico in Europa e negli Usa – aveva mai raggiunto;
  • la repressione. C’è un filo diretto tra la svariate forme di repressione dei decenni passati e quelle attuali contro i NO TAV, i NO TAP, gli studenti in lotta, i picchetti e i blocchi stradali degli scioperanti e persino le manifestazioni di dissenso, tutte sbrigativamente criminalizzate come NO VAX. Metodi ed esecutori e si assomigliano, ma l’orizzonte è cambiato.

Gran parte della storia che abbiamo alle spalle si è svolta entro un orizzonte contrassegnato dalla cultura dello “sviluppo”: se alcuni, o molti, dovevano pagarne il prezzo, il quadro sarebbe migliorato per la maggioranza e per le generazioni future. Oggi l’orizzonte è quello di una crisi climatica e ambientale irreversibile. I più acuti (pochi) dei nostri governanti lo sanno; il Pentagono lo dice da tempo. Le 26 COP sono state delle mere messe in scena. Il traguardo del +1,5, o anche solo del +2°C, è irraggiungibile. Se anche alcuni Paesi centrassero gli obiettivi, del tutto insufficienti, che si sono dati, molti altri Stati non lo faranno e se non lo fanno tutti e come se non lo facesse nessuno. Per questo i governanti che contano non fanno niente per rispettare gli impegni presi e mirano solo a non perdere competitività, le posizioni acquisite rispetto agli altri. Lo sviluppo si è ridotto a crescita, accumulazione di capitale.

Proviamo ora a immaginare che cosa succederà in un contesto di grave peggioramento delle condizioni ambientali: alluvioni, siccità, eventi estremi, crisi idrica e alimentare, rottura degli approvvigionamenti, migrazioni di massa, rivolte – non necessariamente egualitarie; anzi, per lo più sovraniste e razziste, o per lo meno confuse, come l’attuale rivota contro l’obbligo vaccinale – e certamente anche scioperi, conflitti di classe, iniziative dal basso. E perché no? Guerre e relative mobilitazioni e nuove pandemie. Ecco che gli strumenti per affrontare quel contesto sono già pronti.

E noi? Molti di noi non sono nemmeno consapevoli di questo cambio di prospettiva: sono più indietro del papa. Altri ce l’hanno presente, ma poi lo dimenticano quando si scende alle “cose concrete”: allora la crisi climatica e ambientale diventa “l’ambiente”, un tema da mettere ai margini delle cose più importanti, come occupazione, reddito, investimenti, welfare. Ma queste rivendicazioni possono aspirare a qualche successo solo se inquadrate entro il contesto più ampio di quel radicale cambio di paradigma che è la conversione ecologica: un orizzonte di senso che impegna sia i nostri comportamenti individuali sia le regole su cui si reggono la struttura produttiva e i rapporti tra le classi. In gioco c’è l’adattamento a condizioni molto più ostiche di quelle attuali: una vita che può essere anche più desiderabile di quella odierne, ma solo se sapremo promuoverla e farla vivere – almeno in parte – fin da ora mettendola al centro di tutte le rivendicazioni. Scontando un generale ridimensionamento di tutto ciò che ha caratterizzato l’evoluzione degli ultimi secoli.

Ma il primo compito oggi è raffreddare la contrapposizione artificiosa tra pro-vax e no-vax (o green pass) e tutte quelle ancora più acute che ne potranno seguire, con un reciproco ascolto, cercando di riportare l’attenzione sui rapporti tra le classi e sul conflitto tra i rispettivi interessi.

Intervento al convegno “Il paradigma dell’emergenza”, Reggio Emilia, 13.02.2022