I venti di guerra che si agitano intorno alla vicenda Ucraina stanno destando viva preoccupazione nell’opinione pubblica internazionale. Le diplomazie sono al lavoro e da più parti si sottolinea come una guerra nel nostro continente, praticamente alle porte di casa nostra, sarebbe un vero disastro, con gravissime ripercussioni di ordine politico, economico e sociale, e con conseguenze negative sul lungo periodo imprevedibili e incalcolabili.

Anche i movimenti pacifisti si sono messi in moto per richiedere a gran voce la pace e la soluzione negoziata del conflitto. Su alcuni punti però occorre fare chiarezza. L’impressione è che spesso la giusta esigenza di schierarsi per la pace contro la guerra, innanzitutto per una questione etica, che in quanto tale assume valore universale e prioritario, finisca per oscurare i motivi specifici che stanno alla base dei conflitti, rendendo secondario, al limite del non significativo, occuparsi delle ragioni (e dei torti) dei contendenti. Come dire che di fronte alla pace, interpretata come una sorta di “bene assoluto”, e dunque impermeabile alla relatività di qualsivoglia discorso, tutti i contendenti sono ugualmente “cattivi”, perché comunque impegnati in una tenzone che può portare allo scontro armato, e cioè al “male assoluto”, a meno che non si convertano al bene, adoperandosi in tutti i modi per una soluzione qualsiasi, purché scongiuri lo scontro.

Che la pace sia un imperativo etico è fuori discussione. Che bisogna battersi in tutti i modi per ottenerla è altrettanto vero. Questo tuttavia non significa che tutti i conflitti e tutti i contendenti siano identici nella loro indifferenza, come attori casuali e senza volto. Pure presenze indifferenziate come le famose vacche di Hegel che “di notte sono tutte nere”. 

 Il nostro intento, sia chiaro, non è quello di appellarsi alla rilevanza della specificità dei fatti che animano ogni singolo evento conflittuale, solo e semplicemente per salvare le ragioni della politica, quanto piuttosto per sottolineare prioritariamente che per giudicare gli accadimenti che agitano la storia e il presente, l’imperativo etico della Pace (con la maiuscola) deve essere sempre coniugato con un altro imperativo etico, quello che riguarda la Giustizia (anche essa con la maiuscola). Se così non fosse il combattente con la divisa delle SS e il combattente partigiano avrebbero la stessa responsabilità. Ma la storia ci dice che le cose non stanno così.

Per la verità succede poi, che quando in nome della pace i movimenti riescono a riprendersi le piazze, inevitabilmente le ragioni specifiche dei conflitti finiscono per tornare a galla. Va bene così! purché la pretesa neutralità di chi si batte per la pace non diventi uno schierarsi surrettiziamente da una parte della barricata. A questo proposito mi ha lasciato parecchio perplesso il fatto che alla manifestazione indetta dalla comunità di Sant’Egidio per rivendicare la pace, e a cui hanno partecipato diverse personalità politiche, si siano viste parecchie bandiere dell’Ucraina e un giovane ucraino è anche intervenuto dal palco. Non faccio ulteriori commenti sull’accaduto per mancanza di più specifiche conoscenze dei fatti. Ribadisco tuttavia che se veramente ci si vuole battere per la pace, è assolutamente imprescindibile entrare dentro i fatti per valutarli, e se necessario prendere partito, in modo chiaro ed esplicito, evitando ogni ambiguità, legata ad una possibile visione “neutrale” del pacifismo.

Data questa lunga ma necessaria premessa, ed entrando ora nello specifico delle questioni che riguardano la possibile guerra tra Russia ed Ucraina, non possiamo non sottolineare come la ragione originaria del conflitto stia nella possibilità concreta che l’Ucraina entri a far parte della NATO. 

Certo è importante non avere visioni manichee dell’attuale contendere, evitando di assegnare alle parti in gioco, in modo semplicistico, i ruoli contrapposti dei “buoni” e dei “cattivi”. Né d’altra parte gli schieramenti in atto pongono questioni (vere o presunte) di contrapposizioni valoriali ed ideologiche tra diverse visioni del mondo e dei  destini dell’umanità, come avvenne in passato ai tempi della guerra del Vietnam. Infine se nell’attuale scacchiere della geopolitica gli USA svolgono ancora (o pretendono di svolgere) il ruolo della grande superpotenza, la Russia aspira comunque a riguadagnare posizioni nei giochi egemonici e di potenza della politica globale. La Russia insomma, anche a causa del suo regime autarchico, non può essere un esempio per nessuno.

Detto questo tuttavia va riconosciuto che l’ingresso della Ucraina nel Patto Atlantico rappresenterebbe per la Russia un pericolo reale e una evidente sconfitta. Va sottolineato inoltre, guardando al passato e alle origini lontane degli attuali scontri, che la caduta del muro di Berlino e il successivo scioglimento del “patto di Varsavia”, presupponevano la trasformazione dell’Europa in un continente di pace e votato alla pace. La NATO come sappiamo è invece sopravvissuta a quei fatti, venendo meno a quanto si rispondeva a noi pacifisti d’altri tempi, quando ne chiedevamo lo scioglimento: “La NATO si potrà sciogliere – veniva detto- se e quando il Patto di Varsavia non ci sarà più”.  Oggi solo in Italia ci sono dalle settanta alle novanta testate nucleari, che nel silenzio generale, pare che possano a breve essere sostituite con ordigni più moderni e potenti. A che servono? Contro quale nemico sono puntate? 

E’ possibile ed anzi molto probabile, se non scontato, che l’Ucraina entrando nella NATO venga generosamente dotata di ordigni nucleari che verrebbero collocati sotto il naso della Russia. Immaginate cosa succederebbe a parti invertite. Anzi non c’è neppure bisogno di immaginarlo. Se non avete l’età per ricordarlo, andate a vedere nei libri di storia come reagirono gli USA con un ultimatum che minacciava la guerra nucleare totale, quando l’Unione Sovietica dislocò le sue testate nucleari a Cuba. Allora la guerra fu evitata perché i missili furono ritirati, non senza mancare di sottolineare da parte sovietica, che gli americani avevano riempito la Turchia di ordigni nucleati, vicino ai propri confini. (Per la cronaca ancora oggi in territorio turco ci sono circa novanta testate, un record in ambito NATO, che viene probabilmente condiviso col nostro paese.)

Se si vuole realmente evitare la guerra è necessario che i movimenti pacifisti spingano la diplomazia internazionale verso due scelte fondamentali. La prima è che la NATO rinunci alle sue mire espansioniste nei confronti dell’Ucraina. La seconda è che vengano riprese le trattative per rendere finalmente effettivi gli accordi di Minsk, sottoscritti nel 2014, ma in realtà mai entrati in vigore, e che prevedevano il cessate il fuoco nel Donbass, con l’obiettivo di assicurare per il futuro una pacifica convivenza in questa regione di confine, tra ucraini e russi, attraverso accordi che nelle intenzioni, dovevano assicurare l’integrità territoriale dello Stato ucraino, ma  anche garantire un’ampia autonomia politica della regione, col rispetto dei diritti di autogoverno di entrambe le comunità. Un’ottima base dalla quale ripartire, a condizione che la NATO e gli USA facciano un passo indietro. 

Certo l’Europa potrebbe fare tanto per la pace, anche a difesa dei propri interessi. Ma l’Europa resta masochisticamente legata al carrozzone a stelle e strisce. L’unico discorso che si fa è quello delle “terribili” sanzioni da applicare in caso di guerra alla Russia, col risultato di spingerla sempre più verso oriente nelle braccia della Cina, in una prospettiva da nuova guerra fredda tra blocchi contrapposti. Non c’è da essere ottimisti. Solo la nascita di un grande movimento pacifista, non genericamente neutrale, ma chiaro nelle sue analisi e nei suoi intenti, può invertire la nefasta tendenza attuale verso la guerra.