Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Rita Greta Rombolotti, pedagogista e mamma, una lettera rivolta a genitori e insegnanti delle scuole medie superiori sulle manifestazioni e occupazioni studentesche di questi giorni.

Gli studenti scendono in piazza. Una parte della popolazione studentesca sta occupando la propria scuola superiore da Roma a Milano, una parte guarda un po’ impacciata e indifferente, una parte è proprio contraria.

Osservando da vicino noto una certa continuità tra genitori favorevoli-figli favorevoli, genitori contrari-figli contrari. Le istanze dei figli rimbalzano però nelle chat genitori che, ebbene sì, permangono anche alle scuole superiori e il dibattito si polarizza as usual.

Eccitati e orgogliosi, i genitori favorevoli sostengono che “occupare è un atto di disobbedienza civile simbolicamente necessario per far arrivare forte e chiaro le istanze studentesche e riappropriarsi della scuola (dormendoci, mangiandoci, ballandoci, baciandosi, parlandosi) dopo esserne stati privati, espropriati negli ultimi 2 anni”.

Indignati e perplessi, i genitori contrari ribattono che la modalità è sbagliata: “Occupare una scuola è un atto violento e illegale, soprattutto non è il modo adeguato per aprire un dialogo e far valere le proprie istanze. Le ragazze e i ragazzi avrebbero potuto e dovuto dialogare con le/i prof disponibili al confronto. Raccogliere i bisogni di tutti e aprire la comunicazione con la/il preside tramite i circuiti preposti, ma certamente senza ostacolare le lezioni”.

Personalmente comprendo entrambi i punti di vista ma, come pedagogista e come mamma, concordo con i primi, i favorevoli e vorrei tentare di fondamentarne il motivo.

L’aspettativa che i ragazzi sostengano un processo negoziale win-win, informato e condotto ad arte in modi, tempi, spazi adeguati con gli adulti di riferimento sottende un’immagine a mio avviso  idealizzata  di giovane  consapevole, competente, emotivamente maturo, impegnato, ma che non perde di vista la propria traiettoria formativa.

Pur nel riconoscimento delle diversità individuali, trovo questa aspettativa non  adeguata per almeno tre elementi significativi:

  • Il generico modello di adulto che i giovani stanno assimilando. Incapace di dialogare, che spesso usa l’insulto, radicalizzato nelle proprie opinioni veicolate nei social-network, perché ha dismesso gli ambiti in cui incontrarsi e parlarsi di persona.
  • Il dato delle neuroscienze, relativo ai tempi fisiologici di maturazione della corteccia pre-frontale, quella parte del cervello preposta al controllo di emozioni e impulsi, non pienamente matura fino più o meno ai 20 anni.
  • L’esperienza dell’adolescenza che ogni adulto conserva dentro di sé.

Per queste ragioni l’aspettativa che dagli adolescenti giunga una modalità comunicativa “adulta”, che l’adulto stesso fatica a promuovere e a sostenere (pur non senza eccezioni) fa riflettere sul fatto che quando l’ambiente ci chiede più di ciò che è nelle nostre possibilità dare subentra lo stress negativo, quello che si cronicizza.

Allora quel dato del “76,1% di studentesse e studenti che dichiara di avere avuto attacchi di panico o emozioni che non riesce a gestire durante un’interrogazione*” non potrebbe essere conseguenza del nostro iper-investimento  sui figli da quando sono piccoli, che adesso vorremmo  emotivamente e cognitivamente diversi?

Le emozioni “che non riescono a gestire” le raccontano negli studi, pienissimi, dei professionisti. Sono la vergogna, perché sanno di non essere così adeguate/i come i genitori e i professori se li immaginano o li vorrebbero e la rabbia per sforzarsi così tanto nell’adeguarsi alle aspettative adulte da perdere il contatto con il proprio Sé emergente.

Ora, noi genitori amiamo le nostre figlie e i nostri figli e probabilmente siamo la generazione che ha fatto più sforzi nella storia, sforzi mossi anche dalla paura per la giungla economica in cui dovranno cavarsela. Tuttavia, se nella famiglia normativa, dalla quale proveniamo, mortificare la prole appariva giustificato per crescere adulti integrati, nella famiglia affettiva di oggi idealizzarla rappresenta la polarità opposta. Con conseguenze nefaste per via dell’aspettativa che più o meno carsicamente sentono incombere su di sé.

Sia nella mortificazione che nell’idealizzazione i figli finiscono per essere non-visti.

Tornando alle occupazioni di questi giorni ho visto invece con somma felicità ragazze e ragazzi essere ragazze e ragazzi. In altri termini ho visto riapparire nella scena sociale il PUER, per Jung l’archetipo della gioia di vivere, del senso dell’avventura, dell’inizio, fantasia creatrice e anche irrequietezza e immaturità, assenza del limite. E’ alla polarità opposta del PUER che troviamo il SENEX, che nell’inconscio collettivo rappresenta maturità, saggezza, esperienza, ma anche  blocco delle iniziative, paura delle novità, autorità, ordine, potere. Sappiamo poi in questa dialettica quando sia complesso assumersi la responsabilità di trovare la propria sintesi. (Dio solo sa quanto SENEX abbiamo dovuto ingoiare in questi 2 anni!)

Rivolto alla scuola

Arriva forte e chiara la necessità di guardare quello che sta accadendo ai nostri pueri. Proviamo a dare loro il modello. Stiamo dicendo che avrebbero dovuto aprire spazi di dialogo civile e negoziale? Facciamolo! Trattiamoli/e come vogliamo essere trattati/e, in nome di un’etica della coerenza e della reciprocità. Questa è una cosa adulta (che peraltro molti professori e professoresse attuano già come iniziativa individuale).  Che a scuola si aprano spazi e tempi per il dialogo in gruppo, perché il disagio non è individuale, ma collettivo, quindi non ha senso pensare le scuole come presidi clinici – con sempre più ore di supporto psicologico senza fare niente per prevenirlo. Sarebbe utile istituire in modo programmatico gruppi di parola su tematiche esistenziali, assemblee mensili, momenti di condivisione e confronto nel quale le emozioni e le relazioni siano al centro del dibattito, senza fini professionalizzanti o utilitaristici, ma esclusivamente per dare alle ragazze e ai ragazzi strumenti a sostegno dell’emersione del Sé e della relazione.

La scuola sta resistendo a fatica agli attacchi della logica neoliberista imperante e sotto i colpi della pandemia è caduta e con essa studenti e studentesse, insegnanti e genitori.  Affinché si rialzi c’è bisogno dell’aiuto di tutti, soprattutto del PUER che fa un po’ casino, ma è alleato fortissimo e anticorpo personale e sociale.

*Fonte: sondaggio effettuato all’interno del Liceo Carducci di Milano su un campione di 460 studentesse e studenti.