La ricorrenza importante, seppure spesso un po’ dimenticata, della Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre, oggi 1° febbraio, è un’occasione preziosa non solo per onorare la memoria delle persone che hanno perso la vita a causa della violenza armata e della follia della guerra, ma anche per riconoscere alcuni tra i caratteri salienti delle guerre in generale e in particolare nel nostro tempo, la loro estrema distruttività, che vede sempre più i civili esposti e prime vittime della violenza. La legge istitutiva, del 25 gennaio 2017, n. 9 richiama infatti fin dal suo primo articolo, “il giorno 1° febbraio di ciascun anno quale Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo», al fine di conservare la memoria delle vittime civili…, nonché promuovere… la cultura della pace e del ripudio della guerra”.

Come tale, la giornata è intesa anche come occasione di sensibilizzazione delle opinioni pubbliche e di formazione delle giovani generazioni, dal momento che, come ricorda la legge, “gli organi competenti promuovono e organizzano cerimonie, eventi, incontri e testimonianze sulle esperienze vissute dalla popolazione civile nel corso delle guerre mondiali e sull’impatto dei conflitti successivi sulle popolazioni civili di tutto il mondo”. In particolare, come indica l’articolo quarto, si prevede un attivo “coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado … nella promozione delle iniziative …, per l’alto valore educativo, sociale e culturale” che riveste la giornata. Chiaramente, il ruolo delle città è in questa dimensione essenziale: non solo alle guerre, in particolare nel tempo presente, si accompagnano drammatici episodi di vero e proprio “urbicidio”, ma sono proprio le città a subire l’impatto drammatico delle distruzioni e delle uccisioni. Sono però anche attori di primo piano della diplomazia dal basso, della cosiddetta “city diplomacy”, l’insieme delle attività e delle misure poste in essere dalle città e dalle comunità locali per prevenire i rischi dell’escalation militare, per proteggere la popolazione civile, per sollecitare misure politiche per la prevenzione della guerra e il ristabilimento della pace.

Per iniziativa dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG) in collaborazione con AnciComunicare e con il patrocinio dell’ANCI, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, il 1° febbraio è infatti prevista la conferenza online dal titolo “Il ruolo degli enti locali per una concreta attuazione della legge del 25 gennaio 2017 n. 9 secondo l’articolo 2”.  Sarà tra l’altro illustrata la campagna “Stop alle bombe sui civili”, segmento italiano della campagna internazionale “Stop bombing towns and cities” promossa dalla Rete Internazionale INEW e coordinata in Italia dall’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, di cui fanno parte anche la Rete Italiana Pace e Disarmo e la Campagna Italiana contro le Mine. Si parlerà anche dei risultati dell’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per conto della ANVCG sul vissuto delle vittime.

Un quadro della portata della distruzione e della devastazione che la guerra porta con sé, in particolare sulle città, è offerto dal Rapporto del Comitato Internazionale della Croce Rossa, dal titolo Explosive Weapons With Wide Area Effects: A Deadly Choice in Populated Areas, ICRC, Ginevra. Si tratta di una pubblicazione recentissima (gennaio 2022), che “fornisce un’ampia ricognizione, basata sui fatti, delle devastanti conseguenze dell’uso delle armi” in particolare negli spazi urbani e indica una serie di raccomandazioni per la protezione dei civili. Sin dall’inizio (p. 17), il rapporto illustra come “i conflitti armati contemporanei siano combattuti sempre più nei centri abitati […] Si stima che circa cinquanta milioni di persone al mondo soffrano per gli effetti della guerra nello spazio urbano. La “urbanizzazione” della guerra è aggravata dal fatto che alcuni belligeranti evitano di affrontare il nemico allo scoperto, mescolandosi invece con la popolazione civile e persino lanciando attacchi dalle aree popolate. Deliberata o non intenzionale … tale prossimità mette in pericolo i civili. […]  Di fronte a una situazione del genere, … un avversario sceglierà spesso strumenti o metodi di combattimento che non richiedono di esporre le proprie forze ai rischi inerenti alle operazioni militari in un ambiente così complesso: tali mezzi includono l’uso di armi in grado di sviluppare una notevole forza esplosiva da lontano e su vasta area”.

I civili diventano così di fatto un bersaglio: “alto numero di morti e feriti tra i civili; danni mentali e psicosociali; danni significativi e distruzione di proprietà civili e infrastrutture critiche; interruzione dei servizi essenziali per la sopravvivenza della popolazione, compresi acqua, elettricità, servizi igienico-sanitari e assistenza sanitaria; impatto sull’ambiente naturale; sfollamento della popolazione e conseguenze sullo sviluppo, tra gli altri. Questi effetti “accidentali” sono particolarmente gravi quando l’uso di armi pesanti viene ripetuto o viene protratto per giorni, settimane e persino mesi. I bambini e le donne sono particolarmente vulnerabili» (p. 26).

Questa è una dimensione tipica della guerra del nostro tempo, dal momento che (p. 28) “nel periodo 2011-2020, i civili hanno costituito il 91% dei feriti e delle vittime dell’uso di armi esplosive in zone popolate […]. I civili hanno costituito inoltre il 69% delle vittime di attacchi impostati esplicitamente come mirati ad attori militari nelle aree popolate”. Si tratta di una dinamica la cui gravità e la cui drammaticità interpellano dunque direttamente e completamente lo stesso “fare la guerra”, l’esercizio della guerra in sé. Per questo torna l’importanza, in definitiva, del ruolo delle città, della società civile e della comunità internazionale.

Mettere, come è opportuno ripetere, “la guerra fuori dalla storia” significa anche riportare al centro la politica e la diplomazia, l’insieme di tutti gli strumenti, politici e diplomatici, sociali e culturali, per la tutela dei diritti umani, per la prevenzione della violenza, per la costruzione della pace.