Abbiamo parlato con Arash Arjomandi e Pablo d’Ors, in occasione del dialogo che hanno tenuto a Madrid (Casa Asia), intitolato “Abdu’l Bahá, il maestro della spiritualità senza frontiere”.

Arjomandi ci ha introdotto alla figura di ‘Abdu’l Bahá (1844 – 1921) e d’Ors ci ha portato negli spazi del silenzio, dove possiamo incontrarci con noi stessi, con gli altri e con “il mistero della Luce e dell’Amore, che è ciò che chiamiamo Dio”.

Questo incontro fa parte degli eventi che la Comunità Bahá’í sta tenendo in tutto il mondo in questi giorni, in commemorazione del centenario della morte del figlio del profeta della Fede Bahá’í, Bahá’u’lláh, che ha diffuso e sviluppato i principi e le proposte di suo padre in tutta l’Europa e il Nordamerica.

Per coloro che non conoscono la sua opera, qual è il contributo che ‘Abdu’l-Bahá dà alla sua Comunità e al mondo?

Arash Arjomandi: C’è una confluenza di diverse ragioni. Dal punto di vista di un cittadino occidentale, secondo i media dell’epoca – in particolare il New York Daily – fu la prima figura orientale a visitare gli Stati Uniti. È stato in Europa e in Nord America, diffondendo una serie di principi che per quei tempi erano molto all’avanguardia. Erano tutti basati sulla spiritualità, ma miravano a migliorare la società, non solo l’individuo e il suo benessere.

Ha parlato di uguaglianza di genere nel primo decennio del XX secolo, ma non in modo periferico. Ha messo il tema al centro e ha detto che la pace non è possibile – ricordate che siamo alle porte della Prima Guerra Mondiale – se le donne non partecipano alla direzione e gestione degli affari, cosa che oggi l’economia ha dimostrato.

D’altra parte, ha previsto la Guerra Mondiale due o tre anni in anticipo nei media statunitensi, ma la gente non ci ha creduto. Ha detto anche cosa si poteva fare per evitarla. Tra le altre cose, è documentato che il suo lavoro e le sue idee influenzarono il presidente Woodrow Wilson, attraverso la sua figlia maggiore, spingendolo a creare la Lega delle Nazioni. Parlava di una struttura di governance internazionale che potesse fare da arbitro nei conflitti.

Ha parlato della necessità di dialogo tra le religioni, dicendo: “La cosa più religiosa è non avere religione, se si tratta di confrontarsi”.

Un altro principio fondamentale che difendeva era che la religione e i credenti rispettassero molto di più la scienza oggettiva, perché era l’unico modo per il progresso della civiltà di avere entrambe le dimensioni: quella materiale e quella spirituale.

Ciò che è successo poco più di un secolo fa ha avuto un impatto molto grande, perché la Comunità Bahá’í (7 milioni di seguaci nel mondo) oggi lavora su tutto il pianeta per tutte queste iniziative.

‘Abdu’l-Bahá ha diffuso la dottrina di suo padre in Europa e in Nordamerica, come hai sottolineato. Cosa sta facendo oggi la Comunità Bahá’í per trasmettere questi insegnamenti?

Arash Arjomandi: Lavora su tre o quattro tematiche a livello di base, nei quartieri; ha anche le sue strutture all’ONU per influenzare, per promuovere queste idee di pace internazionale. Abdu’l Bahá parla di una Federazione Mondiale delle Nazioni. Tuttavia a livello di quartiere, alla base, lavoriamo sull’educazione spirituale dei bambini, ma in modo molto trasversale, non necessariamente confessionale, sull’educazione ai valori; le scuole insegnano valori laici, che è fondamentale, ma non sufficiente.

Facciamo anche cose come quelle che fa Pablo in modo eccellente, cioè cercare di promuovere alcune pratiche introspettive attraverso la preghiera, la meditazione, la contemplazione, perché questo aiuta davvero il benessere della persona. Abbiamo anche programmi per i giovani, per responsabilizzarli verso questi valori universali.

Hai parlato di portare la spiritualità ai giovani, ai bambini, alla comunità, senza che sia confessionale. Stiamo parlando di una spiritualità universale?

Arash Arjomandi: Non intendo dire che sia necessariamente non confessionale. Voglio dire che quando la Comunità Bahai o un’altra comunità lo fa, non è per valorizzare il nome Bahai; l’obiettivo è un altro. Se in quel percorso c’è qualcuno che esprime un interesse ad unirsi alla Comunità Bahai, o ad altri percorsi spirituali, viene facilitato. Credo che uno degli errori del nostro tempo sia quello di voler creare una spiritualità ad ogni costo, svuotata del suo substrato religioso.

“La spiritualità deve produrre un frutto di armonia e compassione”.

Per substrato religioso intendi qualcosa di associato a certe figure?

Pablo d’Ors: Di solito dico che la religione è la coppa e la spiritualità il vino. Mi sembra un’immagine molto chiara. O se preferisci, forma e sostanza. La religione è fatta di forme culturali, linguistiche, liturgiche, rituali… mentre ciò che chiamiamo spiritualità non è altro che la connessione con il sé profondo, con il mistero del Sé o come vogliamo chiamarlo, o Dio nel linguaggio religioso.

Curiosamente la spiritualità sta guadagnando sempre più prestigio grazie al discredito della religione. In altre parole, molte persone oggi si definiscono spirituali, ma non religiose. Quando entriamo in questo dibattito, dico sempre: “Dimmi dieci nomi di persone spirituali non religiose”, e praticamente nessuno è in grado di darmi un solo nome. Nella nostra cultura, la religione è stata molto associata alla spiritualità. Forse nominano pensatori, o artisti… Certo, il pensiero e l’arte possono essere spirituali, ma non necessariamente.

Perché ci sia spiritualità, deve prodursi, tra le altre cose, un frutto di armonia e compassione. Vale a dire, l’armonia nei confronti di se stessi e la compassione nei confronti degli altri. Se la tua pratica religiosa, artistica, intellettuale o altruistica non produce armonia e non serve a generare umanità e fraternità, non la chiamerei spiritualità.

Il silenzio come percorso e incontro spirituale…

Quale esperienza spirituale potrebbe unire tutta l’Umanità, tutte le persone? Come accedervi, quali passi fare…?

Pablo d’Ors: Per me è chiaro. Penso che dobbiamo passare dal dialogo interreligioso al silenzio interreligioso. Niente può unirci tanto quanto lo stare insieme in silenzio, perché credo che la parola possa generare, nel migliore dei casi, un’affinità intellettuale o sentimentale. Intellettuale vuol dire: sono d’accordo; sentimentale vuol dire: mi piaci. Questo nel migliore dei casi, anche se di solito genera dissensi, persino scontri. Il silenzio invece, con alcuni presupposti – non si tratta di stare in silenzio, senza nulla – il silenzio ritualizzato, come ricerca interiore, genera la comunione spirituale.

Dove porta il silenzio di cui parli?

Pablo d’Ors: Porta a questa comunione di cui stiamo parlando, al rendersi conto che se io sono nel mio profondo e tu sei nel tuo profondo, è lì che il vero incontro diventa possibile.

Il problema è che non stiamo nel profondo. Dato che stiamo nelle forme, lì ci sono conflitti. Ma se riuscissimo davvero a stare nel nostro intimo, non ci sarebbero guerre in questo mondo. Ci sarebbe la pace universale. Per me, questa è la spiritualità universale.

Arash Arjomandi: Ho sperimentato questo silenzio. Tutti quelli che hanno fatto escursioni lo sperimentano. Quando vai a fare un’escursione con un gruppo, normalmente non conosci la maggior parte delle persone perché sono gruppi aperti, e succede un fenomeno molto curioso: dopo cinque o dieci minuti di cammino, nella foresta, in montagna, la sensazione che hai è che conosci queste persone da molto tempo, da sempre. Spesso non si parla e penso che questo sia in parte l’effetto del silenzio, un silenzio che ha senso, che non è vuoto ed è lì che si produce e sperimenta questo effetto.

Pablo D’Ors: Questo è molto bello; sono assolutamente d’accordo. In effetti, camminare o passeggiare è un esercizio spirituale. Penso che lì, più che il silenzio, che pure lo influenza, ci siano due cose che generano una specie di fraternità tra i camminatori. Infatti, se cammini su un sentiero dici ‘buongiorno’, mentre se passi per la città non saluti quelli che incroci. Credo che questo sia dovuto in primo luogo alla natura. Siamo buoni in natura perché siamo la natura. Quel contesto ti riporta al fatto che non c’è differenza tra l’uno e l’altro e te lo ricorda. Parte della nostra rovina deriva dal fatto che abbiamo perso il contatto con la natura. E la seconda cosa è che, quando si fa un’escursione, si è su un sentiero. E il sentiero è forse la più perfetta, la più riuscita metafora di ciò che è la vita umana. Così, quando sei in una realtà simbolica come un sentiero, ti senti unito con tutto quello che c’è, con il sole, con le altre persone… e per questo ci si sente uniti.

Credo che la natura, il percorso, il cammino, per esempio la marcia interreligiosa, ci uniscano più di qualsiasi congresso. Beh, Gandhi di sicuro lo sapeva già.

Cosa ci si aspetta di trovare alla fine del cammino…

In questo cammino di cui parli, Pablo, e in quello che ci hai portato, Arash, cosa cercate, cosa sperate di trovare alla fine di questo cammino di vita, di spiritualità

Pablo d’Ors: Io mi aspetto di incontrare Dio; sono un credente. Cioè il mistero della Luce e dell’Amore, che è quello che chiamiamo Dio.

Arash Arjomandi: Questo, detto da un’altra prospettiva, è cercare la felicità, il benessere interiore ed esteriore. Cerchi di stare bene, ma distinguendolo dal piacere a breve termine, perché è stato dimostrato da tutte le scienze che non dura e richiede un’escalation che non finisce mai. Quando invece si parla di felicità, di benessere interiore, di soddisfazione vitale, è qualcosa che si trova nel profondo, anche se bisogna affrontare crisi, avversità o difficoltà. Le cose stanno così e questo è secondo me l’obiettivo primario di ogni esperienza religiosa. Lo si ottiene trovandosi nel silenzio del desiderio, delle aspirazioni, come dice il buddismo, ma allo stesso tempo con quel primo o ultimo substrato che possiamo chiamare divinità.

In fin dei conti è come unirsi con la propria radice. Perché ci sentiamo sempre felici o con un senso di soddisfazione quando troviamo qualcosa che era la nostra casa, la nostra famiglia, la nostra patria? Perché l’incontro con la radice è l’esperienza ultima del benessere e quella radice ultima è il nostro Creatore.

Un ultimo messaggio per ogni essere umano che è alla ricerca …

Pablo d’Ors: Guarda con amore la tua ombra.

Arash Arjomandi: mi piace la frase di Pablo, non potrei migliorarla.

Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid.

Revisione di Anna Polo