British Petrolium investirà nei prossimi anni 71 miliardi di dollari per estrarre combustibili fossili. Microsoft è il partner principale per la Cop 26 ma non ha fissato alcuna data per chiudere i suoi accordi con l’industria del fossile. La mega centrale a carbone di Drax è la seconda più “sporca” d’Europa nel registro UE delle emissioni. I suoi lobbysti hanno incontrato i ministri britannici 31 volte nei mesi precedenti la COP 26, ricevendo l’apprezzamento di molti politici di alto livello, incluso quello del presidente della COP 26, Alok Sharma. Per Ieta, l’Associazione Internazionale per il Commercio delle Emissioni, potrebbe bastare il nome no? La sua delegazione alla COP 26 è la più numerosa e organizza eventi a cui partecipano capi di stato e di governo. Blackrock, la più grande società di investimenti nel mondo, ha investito 85 miliardi di dollari nell’industria del carbone e 75 in aziende che ricavano petrolio dalla sabbie bituminose, ma – non contenta – guida anche la classifica delle aziende impegnate nella deforestazione. Invece di ridurre le sue emissioni, Shell prevede di “compensare” ogni anno 120 milioni di tonnellate di CO2, riforestando una superficie pari al triplo dei Paesi Bassi. Sono solo sei delle mega-imprese protagoniste della grande truffa dello “zero netto” (c’è anche l’Eni, naturalmente) ideata per lasciare esattamente le cose come stanno, cioè per ripulire l’immagine dei responsabili ritardando ancora le azioni concrete necessarie a limitare la catastrofe. Lo racconta Still a Big Con, “Ancora un grande imbroglio”, un essenziale rapporto stilato dal team indipendente del Corporate Europe Observatory (insieme a Friends of the Earth, Corporate Accountability, Global Forest Coalition). Sarebbe bello ma imperdonabile (quanto imbecille) pensare che quel rapporto esageri e non c’è affatto bisogno di andare fino alle brumose sponde scozzesi del fiume Clyde per capirlo.

Sono purtroppo molto fondati i diffusi timori che la COP 26 in corso a Glasgow non riesca a concludersi con un accordo tra tutti i Paesi all’altezza delle necessarie, drastiche decisioni di immediate e consistenti riduzioni delle produzioni di combustibili fossili.

I grandi media accusano preventivamente Cina, India e Russia – che indubbiamente hanno importanti responsabilità – di non voler accettare la tempistica degli obiettivi di riduzione, per occultare una realtà scomoda: le grandi multinazionali che hanno i loro centri direzionali nei Paesi del ricco Occidente continuano a puntare sui combustibili fossili, nonostante proclamino a gran voce di abbracciare la svolta “verde”, e i vari governi non possono e/o non vogliono obbligarle a cambiare strategia.

Le analisi che lo confermano sono ormai numerose e in molti casi autorevoli.

Per esempio, nel recentissimo “Production Gap Report” dell’UNEP – il programma per l’ambiente dell’ONU – è scritto che la produzione globale di carbone, petrolio e gas deve iniziare a diminuire immediatamente e significativamente, per non superare l’aumento medio planetario di 1,5°C rispetto all’epoca pre-industriale [siamo già a +1,1°C], limite ribadito solennemente al termine del G20 concluso pochi giorni fa. Peccato che, se non si modificano subito gli obiettivi reali di produzione, la temperatura media della Terra, come ci informano i ricercatori dell’ONU nel loro rapporto, schizzerà a +2,7°C nel corso di questo secolo: provocando una catastrofe climatica certa e terribile per l’umanità e la biosfera.

Infatti, i governi dei Paesi produttori hanno programmato fino al 2030 il 110% in più di produzione dei combustibili fossili rispetto alla quantità che limiterebbe il riscaldamento globale a +1,5°C. Tale aumento percentuale è composto da: +240% (!) carbone, +57% petrolio e +71% gas.

“Still A Big Con”, un rapporto[1] stilato pochi giorni fa dal Corporate Europe Observatory (insieme a Friends of the Earth, Corporate Accountability, Global Forest Coalition), analizza le strategie di greenwashing di sei aziende multinazionali di combustibili fossili – ma è una pratica comune di tutta questa ricca e potente industria – e in particolare di cosa vuole nascondere lo slogan che ripetono da tempo e rilanciano alla COP 26 di Glasgow: NET ZERO (ovvero: Zero Emissioni Nette). Lo scopo è, naturalmente, impedire che vengano prese decisioni che determinino davvero l’azzeramento delle emissioni.

In breve, ecco cosa dice il rapporto.

   #  BRITISH PETROLEUM

Condannata nel 2019 per crimini ambientali in Sud Africa, il 28 ottobre scorso è stata convocata dal Congresso degli Stati Uniti, accusata di disinformazione sul clima. Investirà nei prossimi anni $ 71 mld per estrarre combustibili fossili. Nel 2022 avvierà sette progetti di nuovi idrocarburi.

Giustifica i suoi investimenti affermando che il gas fossile, l’idrogeno fossile e la cattura e immagazzinamento del carbonio sono soluzioni conformi all’obiettivo di zero emissioni. E punta sulle “compensazioni” [N.d.R.: piantando alberi], invece di ridurre le sue emissioni di gas serra. Nei mesi precedenti la COP 26, ha avuto 58 incontri con i ministri britannici e ha partecipato a tre importanti eventi con esponenti governativi, sponsorizzando le sue false soluzioni.

   #  MICROSOFT

È la più grossa partner tecnologica dell’industria del petrolio e del gas, vendendo macchine di intelligenza artificiale per la ricerca e l’estrazione. Non ha fissato alcuna data per chiudere i suoi accordi con l’industria dei combustibili fossili e i suoi piani per zero emissioni si basano essenzialmente sulle “compensazioni” e sulle tecnologie per la cattura di milioni di tonnellate di CO2 – anche se ammette che quelle tecnologie non esistono ancora. Nell’attività di lobbying ha speso nel 2021 (finora) più di $ 5 mln a Washington e l’anno scorso oltre € 5 mln a Bruxelles. Partner principale nella COP 26, consultata da capi di stato e di governo.

#  DRAX[2]

È la maggiore fonte singola di emissioni di CO2 del Regno Unito e distrugge aree di biodiversità, in parte incendiando foreste, più di qualunque altra azienda nel mondo. I suoi piani per zero emissioni prevedono la cattura e l’immagazzinamento di 16 mln di tonnellate annue di CO2, utilizzando tecnologie pericolose e sperimentali. Anche se ci riuscisse, si tratterebbe di appena l’1% della CO2 che produce. I suoi lobbysti hanno incontrato i ministri britannici 31 volte nei mesi precedenti la COP 26, ricevendo l’apprezzamento di molti politici di alto livello, incluso il presidente della COP 26, Alok Sharma. Alla conferenza di Glasgow è partner del Forum per l’Innovazione Sostenibile e ha contatti diretti con i decisori politici.

  #  IETA

Associazione Internazionale per il Commercio delle Emissioni: fondata, finanziata e diretta da grandi inquinatori come BP, Chevron, Shell. Da più di 20 anni impegnata nella promozione del fallimentare modello del “mercato del carbonio”. Per zero emissioni considera fondamentale proprio quel modello, che dichiara essere irrinunciabile per l’approccio “multilaterale”. Ammette persino che i suoi piani non tengono conto del loro impatto sociale ed ecologico. In cambio della  centralità dei mercati del carbonio, propone l’azzeramento del debito dei Paesi del Sud verso quelli del Nord del mondo. La sua delegazione alla COP 26 è più numerosa di qualunque altra dei Paesi presenti e organizza una serie di eventi a cui partecipano capi di stato e di governo.

   #   BLACKROCK [3]

Ha investito $ 85 mld nell’industria del carbone e $ 75 mld in aziende che ricavano petrolio dalla sabbie bituminose. Principale investitore nelle aziende impegnate nella deforestazione. Il suo piano per zero emissioni indica la data del 2050 ma non ha alcun progetto per decarbonizzare il suo capitale e non ha definito alcun obiettivo quantitativo di riduzione di emissioni o disinvestimento dalle industrie inquinanti.

Ha bocciato l’88% delle proposte di suoi azionisti per contrastare i cambiamenti climatici. Per meglio tutelare i suoi interessi, fa parte dell’Alleanza Finanziaria di Glasgow per Zero Emissioni. Nel 2020 ha finanziato con $ 1,83 mln la campagna elettorale di Joseph Biden e con € 28 mln l’U.E. Ha partecipato a molte conferenze e gruppi di lavoro di preparazione alla COP 26, dove parlerà in vari incontri e conferenze su zero emissioni.

   #  SHELL

Responsabile del 2% delle emissioni storiche mondiali di biossido di carbonio e metano. Rinviata a giudizio dalle corti di Amsterdam per le sue attività estrattive in Indonesia, Sud Africa, Mozambico, Nigeria e Canada, determinando situazioni di ingiustizia e violenza verso le popolazioni locali. Il suo programma di zero emissioni prevede di spendere ogni anno $ 8 mld per produrre petrolio e gas e aumentare del 20% quella di gas naturale liquefatto. Invece di ridurre le sue emissioni, prevede di “compensare” ogni anno 120 mln di tonnellate di CO2, riforestando una superficie pari al triplo dei Paesi Bassi. Prima della COP 26, ha incontrato 57 volte i ministri britannici e ha speso € 4,25 mln in attività lobbystiche dirette a decisori politici dell’U.E. È partner di Energia Sostenibile per Tutti e ha un proprio padiglione nella sede della COP 26.

Per concludere, non sarebbe corretto dimenticare la multinazionale italiana: l’ENI, di cui una quota importante è proprietà del governo. Sarebbe interessante e istruttiva un’ampia analisi della sua strategia, ma qui ci limitiamo a poco più di un accenno.

Il suo “Piano d’azione 2020-2023” prevede investimenti totali nella produzione di idrocarburi per € 24 mld e… € 4 mld in “investimenti verdi”, di cui € 2,6 mld in energie rinnovabili, mentre dei rimanenti € 1,4 mld non è specificata la destinazione. Più in generale, il suo “Piano strategico al 2050” prevede l’aumento della produzione di idrocarburi (petrolio e gas) del 23% fino al 2025.

Infine, a proposito di come ridurre le sue emissioni climalteranti, non fornisce previsioni chiare perché il piano di sviluppo strategico «ha una grande flessibilità per adattarsi ai cambiamenti dei mercati» nei prossimi trent’anni.

Ogni commento sarebbe superfluo.

[1] Rapporto Still A Big Con, tinyurl.com/StillABigCon.

[2]  La mega centrale a carbone di Drax, nel Regno Unito, è la seconda più “sporca” d’Europa nel registro UE delle emissioni. Ha in progetto di riconvertirla alla produzione di gas.

[3]   È la più grande società di investimento nel mondo, con sede a New York. Gestisce un patrimonio totale di quasi $ 8.000 mld (2020), di cui un terzo in Europa [fonte: Wikipedia]

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