Gioacchino Criaco ci porta di nuovo nella sua/nostra Calabria: quella antica, in cui i bambini ascoltavano le storie raccontate dalle anziane intorno al fuoco, poi quella degli anni ’70 in cui quei bambini crescono e anche la loro coscienza politica e civile, infine quella più vicina all’oggi, dove si raccolgono i cocci di una regione martoriata dalle ‘ndrine e dove molti hanno tentato di ribellarvisi, quasi sempre senza successo.

La maligredi è il titolo del romanzo edito da Feltrinelli, termine che si può tradurre come “la discordia” che spacca le famiglie e la comunità come la terra arida che attraversa. La Natura è parte integrante di questo lungo e bel racconto di uomini e donne impegnati o a sopravvivere e a lottare oppure a infliggere minacce, paura e morte mentre i venti, con la loro saggezza ancestrale, promettono serenità o anticipano tragedia.

Le strade, i boschi, la montagna (l’Aspromonte, così severa nel forgiare il carattere di chi ci è nato) fanno da scenario al dramma, quasi teatrale, dei numerosi personaggi che danno anima alle vicende private e alla Storia; grazie alla penna di Criaco il linguaggio attinge al modo di parlare nella parte di meridione a lui tanto cara, con una sintassi poco regolata, termini dialettali messi in bocca a giovani e adulti per legarli dal filo rosso di una sottocultura diffusa. Chi ha avuto l’opportunità di studiare fuori torna nel proprio paese per proporre ideali di Giustizia, appoggiato dai pochi coraggiosi che credono ancora nei valori positivi. Ma il conto è amaro perché se uno Stato continua ad essere assente, se non addirittura colluso con la criminalità, non c’è ribellione che tenga. Non c’è sacrificio che serva, nemmeno quello delle donne, rimaste vedove o con i mariti in carcere, e che si vedono portar via anche i propri figli.

Un grido di dolore, La maligredi, ma anche un monito alla rivolta per lo meno spirituale che parta da ognuno di noi, che esca dalle nostre case, che entri nelle scuole, che esca nelle piazze a chiedere verità, giustizia, onestà così che quel mare di fronte agli occhi degli anziani non sia più speranza di fuga per le nuove generazioni, ma torni ad essere quel manto calmo in cui tuffare gioia e futuro.