A Milano, a Roma, a Trieste, in Sicilia e in tante realtà italiane si stanno costruendo reti di donne che cercano di collaborare attorno all’obiettivo di mantenere desta l’attenzione sulla questione afghana. “Associazioni che in realtà hanno scopi specifici diversi, si stanno rendendo disponibili e questa è decisamente una novità. Ci stanno arrivando ovunque offerte di collaborazione e stiamo cercando di mettere tutte in rete. Per esperienza sappiamo e abbiamo visto negli anni che le reti si formano per poi scomparire ed è proprio quello che noi vogliamo evitare avvenga. Stiamo cercando di creare una coalizione con una base condivisa, nonostante le diverse origini, e che su alcune questioni condividano proprio un progetto di trasformazione che riguardi sì la difesa dei diritti delle donne in Afghanistan, ma anche qui in Italia perché siamo sulla stessa barca.”

A parlare è Gabriella Gagliardo, presidente del Cisda, (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) un’associazione che da diversi decenni sostiene il gruppo politico Rawa, le donne rivoluzionarie dell’Afghanistan di cui si è fatta portavoce in Italia. Oggi il Rawa è decisamente in prima linea nella resistenza ai talebani e sta sollecitando le sue relazioni all’estero affinché si uniscano in un fronte comune e non disperdano la grande solidarietà delle donne, come al solito estremamente frammentata.

Il Rawa ha una certa diffusione sul territorio afghano perché iniziò a lavorare nei campi profughi che negli anni Settanta con l’invasione russa dell’Afghanistan si erano creati in Pakistan. Con l’occupazione della Nato vennero rasi al suolo e ricostruiti all’interno del paese, perché la gente rifugiata ormai sfollata da anni non sapeva dove andare e nessuno li ricollocava. In questi vent’anni dell’occupazione Rawa Nato ha lavorato sia all’interno dei campi profughi che nei villaggi, nelle campagne oltre alle principali città afghane.

“Le donne del Rawa” mi dice Gabriella “sono molte allenate perché da quarant’anni lavorano in clandestinità, hanno portato avanti molti progetti di educazione ed emancipazione femminile salvaguardando sia loro stesse sia le donne che aiutavano. Hanno cercato di creare possibilità di lavoro per le molte donne delle campagne che con la morte dei mariti in guerra, o la loro lontananza, erano diventate capofamiglia. Poiché non c’era il lavoro, hanno creato occasioni di reddito: ad esempio un microprogetto che ha avuto molto successo è stato quello della coltura dello zafferano di cui poi sosteniamo la distribuzione. Una volta che le donne del villaggio vengono coinvolte in progetti di produzione si innesca un percorso virtuoso per cui poi vengono anche alfabetizzate, crescono la consapevolezza delle loro possibilità e l’autostima; i rapporti tra loro diventano più forti, diventano un motore di cambiamento anche per la comunità. Insomma, ci sono molte ricadute che vanno al di là del progetto economico. Rawa ha sempre lavorato a partire dai bisogni primari, dal non poter mangiare alle unità sanitarie mobili, all’istruzione come prima cosa. Svolge un’attività che sicuramente è politica, con una progettualità a lungo termine, di cambiamento, basata sul fare in modo che le capacità delle donne sboccino e si rafforzino lavorando insieme, uscendo dalla solitudine in cui vengono relegate chiuse nella propria casa. Tutto questo lavoro è sempre stato piuttosto clandestino dovunque, perché quando cominci a smuovere degli equilibri all’interno di un villaggio puoi essere presa di mira; ci si muove attraverso le reti familiari, con incontri in casa che hanno l’apparenza di riunioni per non destare sospetti”.

A partire da sabato 11 settembre ci saranno dei presidi in diverse città italiane che condividono le stesse richieste: non riconoscere il governo talebano, riconoscere come interlocutore politico le organizzazioni afgane democratiche che esistono e in Occidente vengono ignorate, aprire le frontiere ai profughi: costruire dei corridoi umanitari non è sufficiente, in quanto possono salvare solo numeri esigui di persone.

In questo momento il Cisda si sta muovendo per mettere in rete e in comunicazione le tante realtà italiane che si sono messe a disposizione, che vogliono mobilitarsi, perché poi possano dialogare con le donne del Rawa e i loro colleghi della rete afghana che stanno organizzando la vera resistenza democratica e pacifica. Di questa rete, attiva da anni per un Afghanistan democratico, fanno parte Malalai Joya e l’esponente politica del partito Hambastagi, la coraggiosa Selay Ghaffar, che assieme al suo partito si batte per un Afghanistan democratico e soprattutto per l’emancipazione delle donne.