Per lo studente egiziano dell’Università di Bologna, in carcere preventivo da febbraio 2020, sarebbe decaduta l’accusa di terrorismo. Rischia fino a cinque anni.

Sarebbe decaduta l’accusa di terrorismo, ma permane quella di false notizie diffuse sia in Egitto che all’estero: questo il reato che domani i giudici del tribunale di Mansoura contesteranno a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna rinchiuso dal febbraio 2020 in un carcere di massima sicurezza del Cairo. Dopo venti mesi di detenzione preventiva, si apre così il processo per lo studente nella sua città natale.

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Come conferma all’agenzia Dire una fonte interna alla campagna internazionale ‘Patrick libero’, che chiede di restare anonima, ora Zaki rischia una condanna a cinque anni di reclusione. “L’accusa – prosegue la stessa fonte – non è riuscita a dimostrare la diffusione delle false notizie attraverso i social network dal momento che quei post su Facebook non esistono”, un punto più volte ribadito in questi mesi dai legali del ragazzo. “Così – ha detto ancora la fonte – hanno costruito tutto l’impianto accusatorio su un articolo pubblicato nel 2019 su un sito web, in cui Zaki denunciava le persecuzioni a danno della minoranza copta cristiana. E questo è molto peggio”. Secondo l’attivista infatti, “un cittadino cristiano e impegnato per i diritti umani sta affrontando problemi con la giustizia perché gli si contesta il fatto di aver svolto semplicemente il suo lavoro: parlare in difesa dei diritti delle persone. E questo è assurdo”.

Questa evoluzione nella vicenda giudiziaria dello studente che a giugno ha compiuto 30 anni dietro le sbarre, per il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury “dimostra che in Egitto la situazione dei diritti umani è estremamente grave“. Intervistato da Rai News24, Noury ha osservato che a preoccupare è anche il fatto che di tale situazione “non si sta rendendo conto nessuno, ad eccezione naturalmente di alcune componenti della società civile egiziana e dell’Italia”. Il riferimento di Noury è alla campagna nata in Italia da Bologna, e sostenuta da Amnesty, per la liberazione dello studente.

 

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