Anche noi siamo per la certezza della pena ma non ci fermiamo solo qui, siamo anche per la certezza del fine pena. Non si può chiedere la certezza della pena senza sapere quando finisce una pena. Anche noi ergastolani vogliamo un calendario nella cella per segnare con una crocetta i giorni, i mesi, gli anni che passano. Molti ergastolani sono pure vittime di sé stessi e in tutti i casi non si può essere responsabili per sempre. Il dolore di un ergastolano è come l’acqua di una fonte: non finisce mai. Invece qualsiasi cosa dovrebbe avere un inizio e una fine.

Con l’ergastolo non si vive, ma si sopravvive, perché la reclusione a vita come pena è peggiore della morte stessa. La legge viene dal greco nomos: distribuire, ordinare e misurare. Ma come si fa a misurare l’ergastolo? L’ergastolo non ha nessuna funzione, è la vendetta dei forti, dei vincitori, della moltitudine. L’ergastolo è il male e rende innocente chi lo sconta.

Ecco l’undicesima testimonianza di un ergastolano:

Tutte le sere ci si addormenta con quella speranza che il nuovo giorno ti porti qualche novità a cui poterti aggrappare per superare il tempo che scandito dal nulla ristagna diventando un macigno, ma le uniche novità della mia esistenza carceraria, fino a questo momento, sono sempre negative e dolorose. Un uomo che aspetta per anni e anni quel qualcosa che sa che non arriverà mai, alla fine rassegnato si lascia vincere e consumare come un cero davanti ad una lapide. Io sono ancora vivo ma questa vita non è una vita normale. La mia, o meglio, la nostra vita è un qualcosa di indescrivibile, non so realmente se vivo o vegeto, respiro e sento il cuore battere senza capirne il motivo, forse, anzi sono sicuro che la fiammella e il battito del mio cuore sono alimentati da quella forza invincibile chiamata amore: Amore per la mia famiglia. Non ci sarebbe altro motivo per continuare a vivere, se questa è vita; anzi, se non fosse per loro, cioè per non dargli un grande dolore, sono certo che avrei già chiuso baracca e burattini. Chi vive nel tormento come noi ergastolani, vive un’esistenza senza senso. Spesso mi domando, perché lo stato ci tiene in vita, curandoci quel minimo indispensabile per non farci morire, ma facendoci passare tante di quelle sofferenze che sono indicibili da elencare, anzi non voglio elencarle per non turbare chi mi ama. Ma sappiate che il nostro paese non è così civile come tanti pensatori vogliono far credere. Basterebbe poco per non far soffrire gratuitamente migliaia di persone, invece, sembra che tutti abbiano diritto di infierire su quel cattivo di turno, senza pensare che la violenza, anche quando esercitata dai buoni, è sempre violenza.

P.S. A un mio compagno ergastolano, che ha già scontato 33 anni di carcere, nell’ultimo rigetto del permesso il magistrato di sorveglianza ha scritto: “Si rigetta in quanto non ha avuto nessun beneficio extra murario”. Ma se non glielo concede, sto povero cristo quando uscirà?