“La Francia dovrebbe perlomeno condurre studi sulla trasmissione delle malattie derivanti dall’esposizione alla radioattività”: così all’agenzia Dire Jean-Marie Collin, esperto e portavoce a Parigi della Campagne Internationale pour Abolir les Armes Nucléaires (Ican). Lo spunto dell’intervista è la visita del presidente Emmanuel Macron in Polinesia, territorio d’oltremare teatro fra il 1966 e il 1996 di ben 193 test atomici.

“Furono realizzati sugli atolli di Mururoa e Fangataufa” ricorda Collin. “Oggi gli studi sulla trasmissione delle malattie da una generazione all’altra sono un punto cruciale e il solo mezzo per assicurarsi che le generazioni future non paghino più il prezzo delle bombe”. Funghi nell’atmosfera si alternarono a deflagrazioni sotterranee. Diversi gli incidenti, a partire da quello del 1974, quando l’esplosione non avvenne a 8mila metri come previsto ma a 5.200, con una nube radioattiva portata dal vento sull’isola di Tahiti.

Secondo l’esperto di Ican, organizzazione insignita del Premio Nobel per la pace nel 1997, “cinque anni fa il presidente Francois Hollande aveva riconosciuto le conseguenze dei test sulla cultura polinesiana e oggi non credo che Macron farà molto di più”. Improbabile, allora, che possano essere accolte le richieste di scuse formali e di risarcimenti avanzate dalle associazioni dei familiari delle vittime sin dall’arrivo del capo di Stato a Papeete, domenica. “Hanno possibilità davvero esigue di essere accolte” scandisce Collin. Uno dei pochi cenni alla questione Macron lo ha fatto oggi, dicendo di “volere verità e trasparenza” e parlando, rispetto ai test, di fronti ai dirigenti di Papeete, di “un debito” di Parigi nei confronti della Polinesia.

Di recente, a ogni modo, allargando lo sguardo, ci sono state anche buone notizie. La prima è arrivata dall’Algeria, dove il mese scorso è stata istituita l’Agence nationale de réhabilitation des anciens sites d’essais et d’explosions nucléaires. “Permetterà finalmente di impegnarsi nelle bonifiche ambientali con un miglioramento delle condizioni di sicurezza delle comunità che vivono nelle zone dove la Francia realizzò 17 test atomici tra il 1960 e il 1966” sottolinea Collin. “L’articolo 6 dello statuto prevede la possibilità di donazioni, con una formula che potrebbe aprire la strada a contributi finanziari da parte di Parigi”.

A incoraggiare è anche la mobilitazione delle città francesi in favore dell’adesione nazionale al Trattato per la proibizione delle armi nucleari, entrato in vigore il 22 gennaio 2021 grazie alla ratifica di 50 Stati ma senza il supporto dell’Eliseo. “Le amministrazioni locali che si sono espresse a favore sostenendo la campagna di Ican sono già 52, comprese quelle di Parigi, Lione e Grenoble” calcola Collin. “La stessa posizione è condivisa da 31 parlamentari e, come ha confermato un sondaggio realizzato nel 2018, dal 67 per cento dei francesi”.

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