Ho saputo che Siaka Jammeh è diventato il primo presidente migrante di una squadra di calcio italiana, la ASD Don Bosco2000 di Aidone, piccolo centro in provincia di Enna. Una squadra composta da giovani migranti richiedenti asilo rifugiati e italiani, ora nel girone D. E non riesco trattenere il sorriso mentre leggo di lui e di questo nuovo incarico che lo rende orgoglioso. Sorrido perché so chi è Siaka, da dove arriva, il villaggio che ha lasciato in Gambia prima di arrivare con un barcone nel 2014 dalla Libia.

Ho conosciuto la sua splendida moglie e il suo bellissimo bambino dagli occhi vispi e intelligenti, che nel 2018 aveva incontrato dopo anni di separazione forzata dalla sua famiglia, dalla sua terra. Una migrazione necessaria, inevitabile per chi come lui è nato in uno dei paesi più poveri al mondo. Con Siaka nel mese di ottobre del 2018 avevamo viaggiato insieme ad Agostino Sella, presidente dell’Associazione Don Bosco2000, sua moglie Cinzia Vella, Seny Diallo e Lamine Touray, tutti richiedenti asilo in Italia e ospiti dei centri gestiti da questa associazione che valica il confine della mera accoglienza cercando di alternare percorsi di integrazione in Italia con quella che viene definita “migrazione circolare”: un modo per portare nelle terre di origine ciò che di buono si è imparato nel luogo in cui si è stati accolti. E soprattutto un modo per portare lavoro lì dove il lavoro non c’è. A piccoli passi, mattone su mattone, studiando e imparando. Per la sua famiglia e per evitare ad altri come lui i pericoli del viaggio, l’orrore della detenzione nelle carceri libiche, la roulette russa della traversata in mare e poi l’incognita del risultato finale in un paese straniero che non sempre ti accetta anche se ti sgoli per far capire che se hai superato tutto questo è perché non avevi alternative.

Quando partii per realizzare il mio reportage ero al mio secondo viaggio per documentare come funziona la migrazione circolare. Il primo anno eravamo stati nel sud est del Senegal, dove l’associazione stava muovendo i primi passi con Seny Diallo, ora capo missione dei progetti nel paese francofono tra i meno problematici di quel pezzo di Africa. Il Senegal è tagliato in mezzo dal fiume Gambia e dall’omonimo paese anglofono: una piccola lingua di terra con circa due milioni abitanti che combattono contro fame e povertà. Questo è il Gambia.

Attraversato il fiume, andai con Siaka e il resto del gruppo nel villaggio dello zio, che aveva una bella fetta di terreno, ma che non aveva i mezzi per coltivarlo e farlo fruttare. Sotto ad un grosso albero giaceva su un materasso una donna con due gemelli appena nati: un maschio e una femmina. Non saprei dire quanti figli avesse avuto prima di questi due, ma ricordo bene che lo zio di Siaka mi chiese se volevo tenerne uno. Così gli avrei potuto dare una vita migliore di quella che il destino gli aveva dato facendolo nascere in quella terra. Scene del genere in alcune zone dell’Africa sono frequenti e ti lasciano sempre con un grosso nodo alla gola.

Tre anni fa sembrava impresa quasi impossibile realizzare il sogno di mettere in piedi un’attività agricola in quel contesto così difficile. Ora il progetto è partito e Siaka fa avanti e indietro tra l’Italia e il Gambia, dove vivono ancora la moglie e il figlio. Nel suo paese farà fruttare l’orto e cercherà di dare opportunità di lavoro ai suoi conterranei per evitare loro di mettersi nelle mani dei trafficanti.  In Italia continuerà a lavorare come mediatore culturale per l’Associazione Don Bosco2000 e come presidente della squadra del Comune che lo ha accolto e che sta già portando avanti nelle classifiche.

Seppure timido e riservato, Siaka aveva la determinazione nello sguardo e forse anche la buona stella che lo ha indirizzato verso la struttura giusta per potere realizzare il sogno di un riscatto dalle pene subite durate il suo peregrinare.

Questa la sua storia, fino ad ora a lieto fine. Se solo si potesse raccontare cosa si nasconde dietro ai freddi numeri degli sbarchi, cosa narrano gli occhi di ciascun migrante approdato nel nostro paese, forse scopriremmo cosa ruota intorno al mondo del popolo migrante e quanto è bello poter sorridere dei successi di chi ha lottato per avere una vita migliore.