È stato ascoltando un’intervista di Judith Butler[1] che ho realizzato che l’eterno dibattito sinistra-destra è un falso dibattito, o meglio che bisognerebbe spingerlo ai confini di ciò che ciascuna delle due visioni del mondo rappresenta, per capire che queste due sensibilità politiche sono due facce della stessa medaglia.

Si dice normalmente che la sinistra (a cui io appartengo fermamente) rappresenti i valori della solidarietà e la destra quelli delle libertà individuali. Ma in cosa questi valori sarebbero contraddittori? Siamo individui che non possono vivere e prosperare se non all’interno di una comunità. Se esiste una vera spaccatura, casomai, è tra quelli che Butler chiama «Il vivibile e l’invivibile»[2]. È nel momento in cui questi valori di sinistra e destra trasgrediscono le leggi fondamentali della vita che compare sia la minaccia collettivista, sia la tentazione suprematista.

Capisco l’angoscia che può sentire chi crede di essere irregimentato in un sistema che stritola gli individui. Tuttavia, essendo cresciuto in una società capitalista, ho ben presto avvertito come il successo basato sulla competizione conduca immancabilmente all’ingiustizia sociale. Che la si guardi da una parte o dall’altra della “cortina di ferro” (simbolica al giorno d’oggi ma ancora presente negli animi), ci si rende ben conto che nessun sistema funziona veramente. Discutere poi sul numero di vittime o di emarginati – per giustificare un supposto male minore – non fa che aggiungere meschinità a una negazione della realtà piuttosto imbarazzante. Perché i nostri sistemi così fantastici sulla carta – letteralmente, ogni settimana portano un nuovo carico di libri che ci spiega come uscirne – prima o poi falliscono sempre?

Perché non andiamo al cuore delle cose, della cosa… insomma, più precisamente – e sono sempre un po’ imbarazzato a dirlo: al cuore di noi stessi. Noi stessi al singolare. Ognuno, individualmente. Noi non stiamo ascoltando dove si trovano le risposte che cerchiamo.

Ascoltavo la filosofa che ci ricordava la sua battaglia di più di 30 anni per il riconoscimento della dignità delle persone LGBT, quando mi è tornata in mente una presa di coscienza che avevo avuto grazie a un documentario molto commovente che riguardava un bambino transgender[3]. Immediatamente avevo realizzato che la nostra identità profonda travalica allegramente tutte le differenze, comprese quelle sessuali (ce n’è qualcun’altra di più fondamentale sul piano biologico all’interno di una stessa specie?) per arrivare a un “io”, a un “noi” indifferenziato che ci commuove fino alle lacrime quando ci troviamo in sua presenza. Quello che ci accomuna è molto più forte e fondamentale di quello che ci divide (lapsus)… di quello che ci differenzia.

A questo punto, l’individuale raggiunge il collettivo. Il dibattito per sapere se bisogna privilegiare la libertà individuale o l’interesse collettivo non ha più molto senso. Negare uno significa compromettere l’altro, e viceversa.

Oggi ci rendiamo conto, con il riscaldamento globale, che il nostro destino comune riguarda tutte le forme di vita, animali o vegetali. Sono le condizioni stesse della vita sulla Terra[4]che sono minacciate dai nostri ripetuti errori, che rasentano la cocciutaggine.

Sappiamo tutti bene che, attraverso l’evoluzione della specie, discendiamo tutti da organismi unicellulari comparsi nell’oceano qualche miliardo di anni fa e che poi la vita si è diversificata in infinite direzioni, e siamo qui ancora a menarcela sulle nostre rispettive identità e, ancora più patetico, sulla nostra appartenenza a quella o a quell’altra comunità, classe sociale, religione, ecc.

E tuttavia, in qualche modo, siamo tutti ben chiusi ognuno nella sua bolla a tenuta stagna: la bolla della nostra esperienza personale e intima, non condivisibile.

Se solo potessimo capire che esiste una finestra di accesso a un universo comune: la nostra identità profonda, ultima, immutabile ed eterna. Il nostro creatore, il divino, la forza vitale, dategli il nome che volete. Questo processo di consapevolezza, ecco come lo esprimeva già cinque secoli fa il poeta mistico e filosofo Kabîr:

Che una goccia cada in mare,
Tutti possono capirlo.
Ma che in una goccia sia contenuto tutto il mare,
chi lo può sentire?

Quindi, individuale o collettivo?

 

 

 

Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione: Silvia Nocera

Note:

[1]Lotte a tutti i generi. Judith Butler è l’ivitata del mattino. France Culture, 14 maggio 2021.

[2]Titolo del suo ultimo libro.

[3]Petite fille, documentario di Sébastien Lifshitz, dicembre 2020.

[4]Della nostra, ci terrebbe a precisare Baptiste Morizot : Boomerang, France Inter, 8 ottobre 2020.