Intervista a Rania Hammad, scrittrice, attivista per i diritti umani della Comunità palestinese di Roma.

Cara Rania, andiamo subito alla “fonte” del nostro “parlare”… Gerusalemme Est, Sheick Jarrah, la scintilla ultima, provocatoria, da parte del governo di Israele che ha innescato le forti ma pacifiche proteste della comunità palestinese di Gerusalemme e poi via via degli abitanti dei territori occupati, arrivati in forze per stare vicino alle sorelle e fratelli palestinesi. Ci vuoi dire esattamente come sono andate le cose? 

La storia del quartiere di Sheik Jarrah e della grande mobilitazione che si è vista in tutta la Palestina, dalla Cisgiordania a Gaza, dai palestinesi dentro Israele a quelli nelle diaspore palestinesi, dai campi profughi alle città ovunque con manifestazioni a sostegno delle famiglie palestinesi minacciate dalla decisione della Corte suprema israeliana di essere espropriati delle proprie case, ha riaperto vecchie ferite molto profonde del popolo palestinese che continua a subire la pulizia etnica della Nakba iniziata nel 1948 e che va avanti ancora oggi. Sono usciti in migliaia per dire no alla confisca delle case, no all’espulsione dei palestinesi dalla propria città, no alla pulizia etnica e no alla continuazione della Nakba. I cittadini palestinesi di Israele sono addirittura andati a piedi a Gerusalemme da altre città, visto che Israele aveva bloccato l’accesso verso Gerusalemme e chiuso le strade con posti di blocco, ma sono riusciti ad arrivare ai quartieri arabi di Gerusalemme per stringersi attorno alle famiglie minacciate dalla violenza dei coloni, e il clima ha ricordato gli anni della fondazione dello Stato di Israele, quando i gruppi paramilitari ebraici come l’Haganah e il gruppo della banda terroristica Stern, andavano in giro a picchiare la gente, minacciandoli di morte, uccidendo con impunità e distruggendo le loro proprietà.

Ma c’è una normativa che vieta la cacciata delle famiglie palestinesi dalle proprie case?

Certo che c’è, ma non si è voluto spiegare bene  il lato giuridico di questa questione e cioè che questo quartiere si trova a Gerusalemme est, territorio palestinese occupato nel 1967 e che quindi vieta alla forza occupante di cacciare i nativi per far insediare i loro coloni. E poi queste famiglie vivono in queste case dagli anni ’50, le case sono di loro proprietà, sono state acquistate dalla Giordania e dall’agenzia Onu Unrwa proprio perché, ironia della sorte, queste famiglie sono quelle famiglie palestinesi cacciate dalle loro case dalla parte ovest della città, case dal valore di milioni di dollari, cifre mai risarcite, quando si è creato lo Stato di Israele nel 1948, quando la città è stata divisa in ovest israeliana e est palestinese.

Dovremmo anche spiegare che i coloni ebrei si sono approfittati di una legge razzista e discriminatoria del 1970 che è stata fatta appositamente per permettere agli ebrei di reclamare territorio ora che la città è occupata dallo Stato di Israele, permettendogli addirittura di reclamare case magari appartenute a famiglie ebree ai tempi degli Ottomani e prima della creazione dello Stato di Israele. Follia pura, assurdità tragicomiche. E poi, in uno Stato che mira a fare pulizia etnica del popolo indigeno palestinese, l’esercito, la polizia e la Corte suprema, quindi la legislazione, mirano tutte ad un unico scopo, quello di avere più territorio possibile palestinese con meno palestinesi possibile. Quindi diciamo le cose come stanno, che questa questione delle case nel quartiere a Gerusalemme est di Sheik Jarrah o Silwan, non sono altro che la continuazione del progetto di Israele di portare avanti la Nakba; stiamo parlando di uno stato che pratica l’apartheid e quindi applica leggi diverse a seconda del gruppo etnico e religioso a cui appartieni, ecco perché i palestinesi non possono reclamare i loro territori o case, perché altrimenti Israele cesserebbe di esistere. Le politiche discriminatorie di Israele a Gerusalemme, incluso lo sfollamento programmato, sono costanti, e i palestinesi sono discussi come una “bomba demografica” da controllare e questo equilibrio tra palestinesi cristiani e musulmani ed ebrei è alla base della pianificazione municipale e delle azioni statali. Ciò viene fatto in una miriade di modi con la costruzione di insediamenti nei quartieri palestinesi, la demolizione di case e la revoca dei diritti di residenza;  dal 1967 si stima intorno ai 14.500 palestinesi privati ​​del loro status di residenza. D’altronde qui stanno solo cercando di giudaizzare la città, è scritto anche sulle targhe nelle vie di Gerusalemme, e Donald Trump ha dato la spinta, dichiarando Gerusalemme capitale unica e indivisibile di Israele, violando il diritto internazionale e le risoluzioni ONU. Questa è la storia.

I militari israeliani hanno, come sempre, risposto alle proteste palestinesi con violenza feroce, e, non soddisfatti delle loro gesta, hanno occupato e bastonato i fedeli che pregavano nel luogo sacro dei musulmani, la Moschea di Al Aqsa, distruggendo anche ciò che era all’interno del luogo sacro, un atto sacrilego di disprezzo nei confronti della religione. Per rispondere a queste provocazioni, da Gaza Hamas ha sparato missili verso le città più vicine al confine e Netanyhau, che non aspettava altro, ha dato il via alla dodicesima guerra contro una popolazione già incatenata nei suoi pochi kilometri di terra, vessata in tutti i suoi aspetti di quotidianità. 

Credo che gli attacchi alla Spianata delle Moschee durante il mese di Ramadan siano state delle provocazioni fatte di proposito, non è la prima volta, è un disco rotto che si ripete. Non dimentichiamo che prima degli scontri violenti alla Spianata c’era stato il rinvio delle elezioni palestinesi perché Israele non aveva accettato di far votare i residenti palestinesi di Gerusalemme est nella loro città. E allo stesso tempo esplodevano le manifestazioni contro gli espropri dalle case dei palestinesi, mentre sfilavano per le strade ebrei estremisti che gridavano “morte agli arabi”. Tutte le forze politiche palestinesi erano d’accordo nel rinviare le elezioni se non si permetteva ai palestinesi di Gerusalemme est di votare, stiamo parlando di circa 150.000 persone, su 300.000 residenti.

Allora, perché è importante questo elemento? Perché effettivamente se avessimo accettato il fatto che i cittadini di Gerusalemme est non avrebbero avuto il diritto di partecipare alle elezioni, avrebbe significato una accettazione della dichiarazione unilaterale di Donald Trump che stabiliva che Gerusalemme era capitale unica ed indivisibile dello Stato israeliano, in piena violazione non solo del diritto internazionale ma dei diritti del popolo palestinese illegalmente occupato in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, e Gaza.

Il boicottaggio delle elezioni a Gerusalemme è stato un’altra delle cause dell’inizio delle manifestazioni pacifiche dei palestinesi di Gerusalemme

Certo, l’aria si era fatta più tesa e Israele, con il sostegno dei suoi soliti alleati, ha voluto approfittarsi del clima teso per dire che lo scopo principale del rinvio fosse stato il timore di Abu Mazen e Fatah di perdere le elezioni; ma se uno ripensa a tutte le svariate tappe della questione palestinese nel quadro più ampio del gioco strategico di Israele e se si tenessero in mente gli avvenimenti storici degli ultimi decenni, allora si capirebbe che è stata una intenzionale volontà da parte di Israele di delegittimare prima Yasser Arafat, rivoluzionario e poi “terrorista” , Premio Nobel per la Pace e poi di nuovo “terrorista”, e poi Abu Mazen, il moderato favorito, il partner perfetto, e non per dire che non ci siano problemi interni o delusione, ma per ribadire che la delegittimazione delle forze politiche progressiste e laiche è una cosa voluta, una strategia utile ad Israele per creare invece una realtà più favorevole a loro, e cioè sviare l’attenzione dalla causa di tutti i mali, l’occupazione, e poter dire che il conflitto è tra Israele e Hamas, o tra ebrei e Musulmani. Cosa non vera.

Le provocazioni delle forze di occupazione israeliane e dei coloni che hanno raggiunto livelli mai visti, hanno creato i presupposti alla risposta di Hamas?

Sviare l’attenzione dai rapporti di Btselem, e Human Rights Watch a altri ancora, hanno creato i presupposti per nuove aggressioni, usando i divieti ad accedere alla Moschea, facendo sfilare estremisti nei quartieri arabi e provocando la risposta dei missili da Gaza verso Israele come un pretesto per poter bombardare infrastrutture, ospedali, l’unico laboratorio attrezzato per la lotto contro il Covid, uffici delle agenzie stampa, nonché sterminare famiglie in mezzo al sonno, come modo per riportare Gaza all’età della pietra come disse Benny Gantz, attuale ministro della Difesa di Israele. Non possiamo non vedere cosa sta dietro a tutto ciò, il marcio che è sotto. I palestinesi non hanno controllo sulla propria vita, i loro diritti sono violati in ogni parte del paese, e non solo a Gaza o in Cisgiordania, ma anche i palestinesi con cittadinanza israeliana. Gaza è isolata e sotto assedio da 15 anni ormai per due scopi strategici israeliani, uno per dividere la popolazione palestinese in diverse aree e cercando di indebolire la loro identità nazionale, l’altro per puntare sul fatto che a Gaza nel 2006 ha vinto un partito religioso, e che più si trattano come criminali e terroristi, più si puniscono collettivamente i Gazawi, più si impoverisce e si alienano le persone, più diventano impopolari Abu Mazen e l’ANP e si crea la divisione tra Gaza e Cisgiordania, meglio riesce Israele ad incolpare l’ANP di tutti i mali, screditandola, indebolendola e delegittimandola, facendo dimenticare anche ai palestinesi stessi che Israele ha il controllo totale di tutto, Israele è la parte più forte, Israele è quella che può produrre risultati, mentre i palestinesi da soli non possono fare nulla. In altre parole, gli attacchi alla Moschea, così come quella famosa passeggiata di Ariel Sharon nel 2000, e quelli di oggi, servono a sviare l’attenzione dalle radici del conflitto, che sono la pulizia etnica e l’apartheid, mirano a far diventare questo uno scontro tra fedi, e dipingono il confitto come uno scontro tra ebrei e musulmani, rafforzando Hamas non solo a Gaza ma ovunque, perché cosi facendo Israele potrà inserire la nostra questione umanitaria e di diritti umani nel quadro più ampio della guerra contro il fanatismo islamico. Praticamente, detto in parole povere, il fanatismo ebraico che è alla base del Sionismo e della fondazione di Israele, ha bisogno di una controparte che ha le stesse loro sembianze, ma che in realtà assolutamente non è. La verità è che il loro fanatismo non ha bisogno di progressisti, ma ha bisogno di conservatori, militanti e di una gente portata allo stremo a causa dei crimini di guerra perpetrati contro la popolazione civile, traumatizzati con ogni attacco ferocie su Gaza. Anche questo serve al loro interesse e fa parte del loro piano e non è assolutamente un caso.

Undici giorni di “morti innocenti”, di martiri che amavano solo di poter vivere in “pace”, 232 civili , 65/70 bambini, oltre 25 donne, giovani ragazze e madri palestinesi, 11 israeliani , Gaza di nuovo distrutta, famiglie intere scomparse nelle nuvole nere, sotto le macerie dei palazzi bombardati. Una ecatombe alla sua dodicesima “rappresentazione”, una strage voluta e pianificata da Netanyahu per non finire nelle patrie galere accusato di corruzione. Con questo ennesimo crimine, il primo ministro ha ripreso i consensi del suo partito e di una larga parte della popolazione israeliana come dichiara la stampa in questi giorni. E’ così? 

No, non è così; la questione palestinese o il conflitto tra le parti va oltre e al di sopra delle motivazioni interne e elettorali. Gli agenti, cioè i singoli leader delle parti, sono lì a portare avanti un disegno politico, sono guidati nelle loro azioni, come limitati da un sistema più forte di loro, quasi non hanno libero arbitrio. Il problema è sistemico e la base di questo sistema è il sionismo, non importa che Benjamin Netanyahu sia desideroso di tenersi la poltrona, che nel suo governo abbia fatto entrare l’estrema destra, che voglia scampare alle condanne per corruzione, lui come tutti, e dico tutti quelli che lo hanno preceduto portano avanti un piano coloniale di insediamento razzista e illegale.

Con Donald Trump hanno trovato la spinta per cercare di appropriarsi delle case e terre dei palestinesi di Gerusalemme est, ma Israele ha sempre parlato chiaro, Gerusalemme come il resto della Cisgiordania l’hanno riempita di insediamenti illegali, questo lo hanno fatto tutti i governi, e l’espansione più grossa è stata portata avanti da un governo laburista, quella di Ehud Barak. Quindi no, non credo che sia la “preoccupazione” della incarcerazione di un singolo, ma un sistema dietro che permette questi furti della terra; bisogna capire, finalmente, che Israele è stata creata sulle città e i cadaveri dei palestinesi, che la Nakba e la pulizia etnica vanno avanti da 73 anni, e che Israele pratica l’apartheid. I nazisti non si sono fermati da soli, l’apartheid non è stato sconfitto dalla gente del posto, ma sono stati fermati dalla comunità internazionale, con interventi e sanzioni. E di questo dobbiamo parlare ed agire.

Dalla parte di questo crimine di guerra si sono schierati, in prima fila, Biden, il presidente USA (“Israele ha diritto di difendersi”), tutta l’Europa politica con l’Italia che ha fatto la sua parte, il resto del mondo è stato a guardare, con flebili “lamenti”… Vergognosi i paesi del Golfo e africani come il Marocco e il Sudan, preoccupati di perdere concessioni in termini di accordi economici grazie a Trump con gli “accordi di Abramo”.

La politica italiana non c’è, una politica estera italiana non c’è, c’è il populismo senza ideologie, e non ci sono più valori e principi. La sinistra e la destra non sono differenti tra di loro, soprattutto quando si tratta di Palestina e Israele. La legalità internazionale non conta, contano solo gli interessi, lo abbiamo visto chiaramente alla manifestazione pro-Israele al ghetto di Roma che ha visto la destra di Salvini insieme con il Partito Democratico di Letta per sostenere e difendere l’indifendibile, i soprusi e le violazioni dei diritti umani. Hanno dimenticato la storia di questo paese, fatto di grandi leader e delle loro posizioni a favore della pace, dei due stati, e il loro ruolo nella comunità europea, che nel  1980, da paese coraggioso e giusto, condannava la politica israeliana di annessione, sosteneva la creazione di uno Stato indipendente palestinese e difendeva i diritti dei palestinesi su Gerusalemme per il raggiungimento di una pace globale, con la Dichiarazione di Venezia.

Che cosa ne pensi degli “Accordi di Abramo”?

Le cosiddette normalizzazioni dei rapporti di Israele con alcuni paesi arabi non sono altro che un rafforzamento degli aspetti peggiori dello status quo regionale a favore di Israele. I Paesi che hanno normalizzato, dopo anni di tensioni, i loro rapporti con Israele non lo hanno fatto perché si sono infine mostrati aperti e tolleranti verso Israele, no, tutt’altro, non è una ventata d’aria fresca e di pace ma la dimostrazione che ormai Israele è riuscita a piegare anche loro. Ma non sorprendiamoci, ogni Stato fa i propri interessi, anche gli USA fanno gli interessi di Israele e sono influenzati da sempre dalle lobby più potenti. L’amministrazione di Joe Biden porta avanti gli interessi nazionali americani che da sempre combaciano con gli interessi nazionali di Israele, non è mai stato un mediatore neutrale e non lo sarà mai, spetta a noi, alle forze democratiche e progressiste mettere pressione sui nostri partiti, in USA come in Europa, per il rispetto dei diritti umani e della legalità.

L’Europa ha abbandonato il suo ruolo di mediatrice “neutrale” e sta tradendo i suoi principi di democrazia e rispetto della legalità, anche qui in Italia assistiamo alla crescita di movimenti di destra xenofoba, e quindi non ci dobbiamo aspettare qualcosa di meglio dagli stati arabi, come gli Emirati Arabi Uniti o il Marocco. Si preoccupano maggiormente dei loro interessi commerciali e della stabilità nei loro paesi. È diventato ovvio, dopo le primavere arabe, che mantenere un buon rapporto con gli Stati Uniti è molto più importante che avere rapporti con i palestinesi. E poi grazie alla guerra del 2003 contro l’Iraq, l’intero Medio Oriente è destabilizzato e sia politicamente sia economicamente è in crisi, nessuno ha più tempo per i palestinesi, ognuno ha i propri problemi, e la scissione tra sunniti e sciiti è stata la strategia migliore per dividere facilitando, inoltre, il dominio di Israele nella regione.

Il mondo politico ha girato la testa dall’altra parte, ma le popolazioni delle città del mondo non hanno chiuso gli occhi e sono scese nelle piazze a centinaia e centinaia di migliaia per sostenere i palestinesi e per chiedere a gran voce la cessazione della strage contro Gaza e la fine dell’occupazione e dell’apartheid. Grande impegno lo hanno dimostrato i giovani palestinesi, nati fuori dalla loro terra di origine a causa della Nakba, dell’impossibilità del ritorno nonostante le varie risoluzioni ONU mai ottemperate da Israele. Quando diciamo che i giovani sono il nostro futuro non sbagliamo, vero? 

Il clima non è tra i migliori da questo punto di vista ma i movimenti globali per i diritti umani e le società civili, i nostri ragazzi e ragazze stanno facendo quello che i governi non fanno, e cioè stanno dicendo che le lotte per i diritti umani sono intersezionali e transnazionali e che gli Stati non potranno fermare le persone e soprattutto la nostra gioventù che lottano per un mondo più giusto e che questi diritti umani li rivendichiamo tutti insieme, come abbiamo fatto prima, come faremo adesso e come lo faremo nel nostro futuro fino a sconfiggere i sistemi di oppressione. Risulta evidente che non ci sarà mai pace senza giustizia e che, dopo questo “cessate il fuoco”, è necessaria una immediata iniziativa politica basata sul diritto internazionale e le risoluzioni ONU che metta fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi del 1967 con capitale Gerusalemme est e che risolva la questione dei rifugiati e del loro diritto al ritorno, come sancito dalla Risoluzione ONU 194 del 1948.

Per finire mi domando sempre:” A cosa servono millenni di civiltà e di cultura, se si arriva a scordare che siamo, tutti, esseri umani?”.