Sento il mio amico Christian Mariani. Vive da quasi vent’anni in Perù, dove si è sposato e ha tre figli. Parliamo della situazione politica, del ballottaggio del 2 giugno, dell’incubo di Keiko Fujimori che farà di tutto e di più per strappare un voto in più dell’avversario, ma ad un certo punto, dalle Ande dove vive, mi racconta una storiella locale che mi era sfuggita.

“Hai sentito di don Alberto Vigorelli e della querela di Salvini per le sue parole durante l’omelia nel 2016, quando disse: ‘O siete cristiani o siete di Salvini’”? Io non ne so nulla e lui mi racconta.

“Conosco don Alberto da tantissimi anni, da quando facevo lo scout. Abitavo a Carugo, in Brianza e lui era il padre spirituale del nostro gruppo Agesci. E’ sempre stato un prete con una grande coerenza, non è mai stato ipocrita e questo si vede anche nelle scelte che ha fatto e nei luoghi dove è stato mandato. Credo che anche questa vicenda dove si è “andato a ficcare” sia frutto della sua coerenza e del dire le cose come stanno.

Don Alberto è stato missionario in Africa e poi in America Latina. Nel 2001, da poco laureato in architettura, venni qui a Lima a fare il volontario, perché lui era qui. Vissi insieme a lui e ad altri volontari in una casetta in una baraccopoli alla periferia di Lima, una realtà molto dura, con molta violenza e molta miseria. Davanti alla nostra casetta più di una volta c’erano stati scontri tra bande, col machete in mano. Dopo due anni, in seguito a furti ed attacchi alla nostra sede noi volontari ci trasferimmo in un altro quartiere, mentre lui rimase lì. Era in Perù come missionario, ma era anche legato a una comunità di base di Cantù, “Il pellegrino”, che organizzava progetti di solidarietà.

Non sono mai stato un buon cristiano, ma ricordo le omelie di don Alberto come qualcosa di forte e importante: ci lavorava sopra tutta la settimana, la preparava con grande attenzione e impegno, ci si dedicava anima e corpo. Le sue letture del Vangelo erano calate nella realtà quotidiana, contenevano critiche fondate, quindi non mi stupisce affatto quello che ha detto in questa omelia quattro anni fa a Mariano Comense. Alberto non ha mai avuto paura di fare un’osservazione coerente.

Ne abbiamo viste tante, ma don Alberto ben più di noi, e chissà quante ne avrà sentite in confessionale. Conoscendo la sua storia, il suo carattere, quelle che ha passato, immagino che quest’ultima vicenda non lo turbi più di tanto.

Io rimasi a vivere in Perù, venni a Cusco, ma ogni anno andavo a trovarlo. Ci sposò e battezzò i miei figli e ci sentiamo ancora. E’ stato una figura importante per me.

Ho conosciuto altri preti missionari come lui; non a caso, forse, vanno in giro per il mondo. Credo siano un po’ scomodi “da noi”, ancora di più nella nostra Brianza benpensante. Da noi ci vogliono i don Abbondio, che obbediscono e che si auto-limitano.”

Alla fine però Christian è preoccupato, non sa se scrivere al riguardo possa essere utile o dannoso, se possa aiutare o meno don Alberto. Mi sento di tranquillizzarlo; credo che i problemi li abbiamo noi, non don Alberto, noi che spesso non abbiamo la forza e il coraggio di dire quello che pensiamo fino in fondo, noi che qui in Lombardia abbiamo una buona probabilità, parlando, di incocciare in qualche fervente razzista che ci possa attaccare. Noi siamo quelli in difficoltà. Don Alberto ha 81 anni. Se nella fiaba di Andersen è un bimbo che alla fine dice “Il re è nudo!”, oggi nel nostro 21esimo secolo, a metà del guado del Covid, è un ottantenne a dirlo. Il dramma è che non è solo il re a essere nudo, ma un po’ tutti noi.