“Washington D.C. non merita di diventare uno Stato perché non possiede una concessionaria di automobili”. Ecco l’obiezione di Jody Hice, parlamentare repubblicano della Georgia (decimo distretto), alla recente proposta della creazione del 51esimo Stato. Una volta informato che si sbagliava, Hice ha chiesto scusa, ma continua ad opporsi alla proposta (H.R. 51). Si tratta di una nuova legge approvata dalla Camera con voti solo democratici (232 sì, 180 no) l’anno scorso, ma discussa di recente dalla Commissione Supervisione e Riforme.

I 705mila abitanti della capitale americana sono ovviamente cittadini, ma non possiedono tutti i diritti poiché non vivono in un luogo dotato di un governo statale, essendo Washington D.C. (District of Columbia) considerato un territorio. Questa problematica situazione è emersa nell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio, quando la sindaca della capitale Muriel Bowser ha dovuto chiedere alle autorità federali il permesso  di chiamare la Guardia Nazionale. Le autorità federali hanno ritardato e con ogni probabilità sono responsabili per almeno una parte dei danni fatti dagli assalitori del Campidoglio. Il governatore di uno Stato avrebbe avuto pieni poteri di chiamare la Guardia Nazionale tempestivamente. Inoltre la classificazione di “territorio” ha fatto perdere agli abitanti della capitale 750 milioni di dollari dopo l’approvazione del CARES Act, il pacchetto di stimolo anti-Covid dell’anno scorso.

Un basilare concetto costituzionale americano, che si richiama alla fondazione del paese, recita: “No taxation without representation” (Nessuna tassazione senza rappresentanza). All’inizio della Rivoluzione americana i coloni ritenevano illegali le tasse imposte dalla monarchia britannica perché loro non erano rappresentati nel lontano Parlamento britannico. I cittadini di Washington D.C. si trovano in una simile situazione, anche se non completamente: non solo pagano le tasse, ma nella graduatoria di chi ne paga di più si trovano al primo posto in tutta l’America. Tutto sommato, i cittadini della capitale non hanno gli stessi diritti di tutti gli americani. Va ricordato che nessun paese al mondo nega agli abitanti della propria capitale i pieni diritti.

Nel corso della storia sono stati introdotti alcuni cambiamenti per offrire ai cittadini di Washington D.C. i dovuti diritti, ma la loro situazione è tuttora sfavorevole. La città è governata da un sindaco, ma il bilancio municipale può essere controllato dal Congresso, composto da rappresentanti eletti da cittadini di altri Stati. Gli abitanti della capitale possono votare nell’elezione presidenziale e ricevono tre voti per il collegio elettorale, lo stesso numero di altri sette Stati con meno abitanti. Non hanno rappresentanti al Senato; alla Camera ne hanno uno, ma senza diritto al voto.

H.R. 51 offrirebbe pieni diritti ai residenti di Washington D.C. con la creazione del 51esimo Stato. Secondo la Costituzione, il Congresso ha il potere di ammettere nuovi Stati. I democratici sono ovviamente a favore perché un nuovo Stato si tradurrebbe in due nuovi senatori e un nuovo parlamentare. Questi tre legislatori si aggiungerebbero quasi certamente alle file del loro partito, considerando che la stragrande maggioranza dei residenti di Washington D.C. in genere vota per i democratici. Per esempio, nell’ultima elezione presidenziale il 92% degli elettori della capitale ha votato per Joe Biden. La composizione demografica, con la stragrande maggioranza di afro-americani, ci suggerisce che il nuovo Stato aumenterebbe anche se in misura minima la diversità in ambedue le Camere.

Le argomentazioni dei repubblicani sono scontate; sono state avanzate non solo dai legislatori a Washington, ma anche dalle legislature statali dominate dai repubblicani. Il South Dakota si è già dichiarato contrario sostenendo che un nuovo Stato eroderebbe i diritti dei suoi cittadini. Paradossalmente, i due Dakota, North e South, creati nel 1889 dal Dakota Territory, dovevano essere un unico Stato, ma i repubblicani ne crearono due per avere quattro senatori nelle loro file e consolidare la loro maggioranza. Altri Stati dominati da legislature democratiche invece appoggiano l’ampliamento da 50 a 51 Stati.

La decisione verrà presa però al livello federale. Se la Camera, dominata dai democratici, ha già approvato la formazione del nuovo Stato, si dovrà affrontare lo scoglio del Senato, dove le regole attuali richiedono 60 dei cento consensi per procedere al voto a causa del filibuster. I democratici si trovano nella situazione favorevole di avere la maggioranza in ambedue le Camere fino all’elezione di midterm del 2022. Al Senato, però, la loro maggioranza è 51 a 50, basata sul voto extra della vicepresidente Kamala Harris. Potrebbero dunque approfittarne per fare approvare H.R. 51, ma prima dovrebbero eliminare la pratica del filibuster (che permette di bloccare un disegno di legge tramite l’ostruzionismo), per cui serve una semplice maggioranza. Al momento ciò sembra improbabile anche se non impossibile. Almeno due degli attuali senatori democratici, Joe Manchin (West Virginia) e Kyrsten Sinema (Arizona), sono contrari, anche se le loro ultime dichiarazioni suggeriscono posizioni più morbide al riguardo.

Il presidente Biden si è espresso a favore dell’abolizione del filibuster. Mitch McConnell, senatore del Kentucky e leader della minoranza repubblicana al Senato, ha annunciato che se questo verrà eliminato metterà in atto una politica di terra bruciata, abrogando tutti i programmi più radicali dei democratici la prossima volta che il suo partito otterrà la maggioranza. Una minaccia poco credibile, come ci dimostra la storia con i programmi del Social Security, Medicare e il più recente Obamacare. I repubblicani hanno controllato le due Camere e la Casa Bianca nei primi due anni dell’amministrazione di Donald Trump, ma non sono riusciti nemmeno a revocare la tanto odiata Obamacare. Eliminare programmi popolari approvati dai democratici anche senza voti repubblicani diverrebbe impossibile. Si vedrà se i democratici oseranno eliminare il filibuster per mettere in atto gli ambiziosi programmi di Biden, che ci ricordano il New Deal di Franklin D. Roosevelt.

Al di là delle questioni politiche rimane però il senso della giustizia e dell’uguaglianza di tutti i cittadini. I residenti di Washington D.C. meritano pieni diritti. I democratici, lottando per questi diritti, non si trovano in una situazione completamente altruistica, poiché ci guadagnerebbero politicamente. Allo stesso tempo, considerando l’estremismo del Partito Repubblicano sempre più nelle mani di Donald Trump con le sue arcinote tendenze autoritarie, i democratici devono lottare per la giustizia, ma anche per la difesa della democrazia.