Il 12 gennaio di quest’anno, da qualche parte nella periferia della capitale New Delhi, l’attivista 24enne Dalit Nodeep Kaur è stata arrestata dalla polizia dello stato di Haryana per aver protestato fuori da una fabbrica. Durante il lockdown del 2020, Nodeep si è unita a un’organizzazione locale per i diritti dei lavoratori chiamata Mazdoor Adhikar Sangathan (MAS) nella zona industriale di Kundli in Haryana. A gennaio Nodeep è stata accusata di aver maltrattato la direzione e il personale di una zona industriale durante una protesta e di aver anche aggredito la squadra della polizia.

Nodeep aveva partecipato alla protesta dei contadini anche contro le nuove riforme agricole del governo centrale. È stata arrestata, accusata in tre casi separati e poi incriminata in conformità con alcuni capi d’accusa della legge indiana, tra cui tentato omicidio, estorsione, assemblea illegale, sommossa e intimidazione criminale. Le è stata concessa la libertà provvisoria, ma i suoi casi sono ancora in sospeso. Il caso di Nodeep è stato ampiamente trattato dai media internazionali quando Meena Harris, nipote della vicepresidente americana Kamala Harris, ha chiesto il suo rilascio.

A proposito del suo crimine, Nodeep ha detto a IPS (Inter Press Service): “Sono una donna, sono una Dalit (fuori casta nel sistema sociale induista, in passato definiti come «intoccabili», N.d.R.) e sto dando voce alle persone che spesso vengono oppresse con estrema facilità. Mi hanno arrestata, mi hanno picchiata e maltrattata; persino all’interno della prigione c’erano tanti pregiudizi tra persone di casta superiore e di casta inferiore. Mi hanno torturata a lungo, non potevo camminare, provavo molto dolore, non mi hanno permesso di vedere un medico e mi hanno tenuta in isolamento per giorni. Sono grata di esserne uscita viva e di essere qui, dove dovrei essere, con la mia gente, con la classe operaia e con i contadini”.

Nodeep proviene da una famiglia di attivisti e i suoi genitori sono stati associati al sindacato degli agricoltori del Punjab. Nel 2014, sua madre Swaranjeet Kaur ha guidato una protesta chiedendo giustizia per una ragazza Dalit minorenne che era stata violentata da un gruppo nel loro villaggio. Ha ricevuto molteplici minacce di morte, è stata arrestata e tenuta in custodia per giorni.

“Sono chi sono oggi grazie a mia madre. La nostra non è una società egualitaria, ci sono così tanti pregiudizi basati sulle caste e se sei una donna, e una donna con le mie origini Dalit, è una sfida ancor più grande. Fin da piccola ho imparato a combattere non solo per me stessa, ma anche per gli altri”, ha detto Nodeep.

L’attivista Dalit Nodeep Kaur. Foto di Sania Farooqui

“La solidarietà che si può vedere oggi tra i contadini e la classe operaia è molto potente. Potete immaginare cosa può accadere ora che siamo tutti uniti e ci difendiamo a vicenda?” dice Nodeep. “La mia battaglia è iniziata lottando per i salari non pagati e i trattamenti ingiusti della classe operaia in una zona industriale, e oggi sono qui a sostenere e dare la mia voce ai contadini. Non so come o quando sia successo, ma hanno iniziato a chiamarmi il loro leader, e io non li deluderò”.

Migliaia di agricoltori, soprattutto del Punjab, dell’Haryana e dell’Uttar Pradesh occidentale, stanno protestando da novembre dello scorso anno ai confini di Delhi contro tre leggi agricole. Gli agricoltori hanno chiesto l’abrogazione delle seguenti leggi del 2020: la Legge sul commercio e sugli scambi di prodotti agricoli]; l’Accordo per l’emancipazione e la protezione degli agricoltori sull’assicurazione dei prezzi e la legge sui servizi agricoli e la Legge sui beni primari.

Gli agricoltori hanno anche chiesto una garanzia legale sui prezzi minimi di sostegno (MSP) per le loro colture e di ritirare la proposta di legge sull’elettricità del 2020, poiché temono che metterà fine all’elettricità sovvenzionata.

“Tutto quello che chiediamo è di ritirare queste tre leggi che deregolamenteranno la vendita dei nostri raccolti”, ha detto Sukhdev Singh, segretario generale del Bharti Kisan Union a IPS.

“La nostra più grande preoccupazione è che le recenti leggi che sono state promulgate dal governo centrale smantelleranno completamente il sistema dei prezzi minimi di sostegno. Solo i privati ne beneficeranno e noi agricoltori finiremo fuori dal business. Non possiamo permetterci di chiudere il sistema dei prezzi agricoli regolamentati, è così che possiamo avere un guadagno. Più di 300 contadini sono morti finora accampandosi e protestando alle frontiere di Delhi. Abbiamo già perso tanto, ma la nostra lotta continuerà”, ha detto Sukhdev Singh.

La protesta degli agricoltori è considerata una delle più grandi manifestazioni che abbiano mai avuto luogo in India, non solo per le sue dimensioni e la sua ampiezza, ma anche perché ha messo in prima linea le donne che ora sono spesso alla guida delle proteste, nonostante gli sia stato chiesto di andarsene.

L’attivista Nodeep Kaur con un contadino. Foto di Sania Farooqui

“Questa è una rivoluzione, siamo qui per alzare la voce. Se non lo facciamo oggi, cosa avranno le nostre generazioni future”, dice Ratinder Kaur*, una 65enne contadina del Punjab. Ratinder è accampata al confine di Singhu dal gennaio 2021, e prevede di rimanere lì mentre suo marito torna in Punjab per i raccolti di questa settimana.

“Come può qualcuno dirci che non possiamo partecipare? Anche noi donne siamo contadine, andiamo nei campi, coltiviamo, facciamo altre attività di sostegno e ci occupiamo anche delle nostre famiglie”, dice Ratinder.

Il gruppo umanitario internazionale OXFAM afferma che quasi l’80% dei lavoratori a tempo pieno nelle fattorie indiane sono donne. I dati comprendono il 33% della forza lavoro agricola e il 48% degli agricoltori autonomi, ma solo il 13% circa delle donne possiede della terra. Le società agrarie in India sono estremamente patriarcali, caratterizzate da strutture feudali profondamente radicate in cui donne e uomini raramente hanno uguale accesso alle risorse.

Mettere fine a questo divario di genere è essenziale per accelerare il ritmo di crescita del settore agricolo. La discriminazione basata sul genere continua a prosperare nel paese in diversi modi. Le donne contadine in India non sono tuttora riconosciute come lavoratrici agricole dalle politiche indiane, “negando così loro i supporti istituzionali di banche, assicurazioni, cooperative e dipartimenti governativi”, dice OXFAM.

“Sapete perché chiamiamo Nodeep il nostro leader? Lei è proprio come noi contadini, forte e resistente. Niente può fermarla, e quando sale sul palco e parla, tutti la ascoltano”, dice Kiranjeet*, una contadina 57enne del Punjab che si è unita ai manifestanti accampati al confine di Tikri e poi a quello di Singhu da marzo.

“Ho lasciato i miei figli a casa in Punjab e resterò qui, proprio come le altre mie sorelle contadine. È importante per noi donne combattere questa battaglia. Quando l’inflazione colpisce, quando i prezzi salgono, quando non ci sono soldi a casa, sappiamo quanto abbiamo faticato per avere un pasto in tavola.

“Nodeep è il futuro, abbiamo bisogno di giovani come lei, e di tante altre sorelle che sono venute a sostenerci. Quando una donna parla, tante altre si uniscono a lei. I nostri mariti sono tornati a casa, è la stagione dei raccolti e ora saremo qui per i prossimi mesi. E’ un nostro diritto e la nostra lotta”, dice Kiranjeet.

La protesta dei contadini non è la prima occasione in cui le donne in India assumono ruoli di leadership, sia nei movimenti politici che nelle proteste di massa. Le donne hanno costituito una parte significativa dei manifestanti di strada durante le proteste contro il CAA (Citizenship Amendment Act) nel paese dal dicembre 2019. La più grande sfida in India rimane tuttavia come trasformare la loro leadership in rappresentazioni paritarie nelle posizioni governative di alto livello, senza discriminazioni di genere, casta e religione.

Il movimento dei contadini nel paese sta trasformando la presenza e l’influenza delle donne all’interno delle strutture patriarcali e castali, e non c’è modo di renderle invisibili. “Senza le donne non c’è rivoluzione”, dice Nodeep. “Noi donne abbiamo passato così tanto, abbiamo combattuto così tanto, siamo sopravvissute così tanto, e hanno pensato di potermi mettere dentro una prigione per farmi stare zitta. Sono qui per combattere e sono qui per restare, succeda quel che succeda. Mi hanno fatta la leader del loro popolo, e io non li deluderò”, dice Nodeep.

*Nomi cambiati per mantenere l’anonimato.

Di Sania Farooqui

Traduzione dall’inglese di Angelica Cucchi. Revisione di Thomas Schmid

L’articolo originale può essere letto qui