Era il giugno 1992 e a Rio de Janeiro si teneva la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo. Fidel Castro, leader della Rivoluzione Cubana, tenne un discorso leggendario improntato all’ecologia sociale e integrale. Erano gli anni in cui, in Occidente, le “linee di frattura” tra industrialismo e istanze ambientaliste si facevano sempre più forti e una parte di mondo iniziava a dire come il nostro modello di sviluppo avrebbe portato ad una catastrofe con l’inizio della globalizzazione neoliberista. Erano gli anni in cui essere “ambientalista” era come essere un “sovversivo” e magicamente diventava un’etichetta, uno stigma che poteva essere usato contro di te in qualsiasi momento. Erano i tempi in cui essere “ambientalista” era quasi una parolaccia, un insulto che veniva accompagnato da espressioni come “sei contro il progresso”, “sei un terzomondista”, “un pauperista che vuole vivere come gli uomini delle caverne”, “sei contro il lavoro” e molto altro. Tempi in cui era evidente come il capitale usasse il ricatto tra salute e lavoro come monito per impedire che i lavoratori rivendicassero il diritto di vivere e lavorare in un ambiente sano.

Erano i tempi in cui “essere ambientalista” significava andare contro un modello di sviluppo e di produzione e non farsi abbindolare dai prodotti del brand e del marketing che spacciano qualsiasi cosa per “green” pur di aprire nuovi mercati. Oggi la strumentalizzazione dei temi ambientali avviene ad opera di coloro che in quegli anni si opponevano ferocemente ai discorsi, che definivano “propagandisti”, di Fidel Castro o di altri leader ambientalisti come Vandana Shiva e Chico Mendes che ci ricordava che l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio. Stiamo parlando di capitalisti del calibro di Bill Gates che oggi scrive “libri sull’ambiente” invocando e finanziando centrali nucleari e agricoltura tossica, spacciata per “Rivoluzione Verde”, in zone come l’Africa e l’India. Tutte persone che sono sempre stati dall’altra parte della barricata; tutti quelli che Vandana Shiva chiamerebbe “filantrocapitalisti”, ovvero coloro che continuano a fare ciò che hanno sempre fatto ma vestendo l’ambito caritatevole e compassionevole della “filantropia” permessa solo con un sacco di soldi. Sono gli stessi oggi che hanno capito che il loro modello di sviluppo non può funzionare, eppure non si apprestano a cambiarlo, ma a rigenerarlo iniziando a parlare di “capitalismo green” o di altre aberrazioni che nulla hanno di logico. Cercano di vendersi come dei “gotha” delle istanze ambientali senza dire che il capitalismo si fonda sulla strutturale devastazione ambientale.

Oggi vi è più che mai un “ecologismo”, se così si può chiamare, “di facciata” che strumentalizza i temi ambientalisti permettendo alla retorica neoliberale di esser al contempo il problema e la soluzione. Anche dai rappresentanti del ceto politico nazionale emerge la mancanza di spirito critico che certifica la totale mancanza di autonomia della politica: tutti liberali e tutti ambientalisti. Che esista una questione ambientale (e animale) non vi è dubbio, ma non è accettabile che l’unico modo per approciarsi sia quello neoliberale: storicamente possiamo dire che oltre a non essere stato l’unico è stato minoritario. Oggi tanti soggetti politici che discutono sul tema denotano conformismo e mancanza di cultura politica e di autonomia. Oggi, con il “fenomeno Greta”, l’ambientalismo sembra essere diventato un argomento “mainstream”, un argomento per tutti, un bell’abito indossato da tutti. Purtroppo, lo sappiamo, l’abito non fa il monaco e qualunque dimensione incarnerà il capitalismo avanzato, sicuramente non possederà la dimensione olistica, ecologica e priva di sfruttamento. L’approccio alla questione ambientale in chiave socialista è cosa completamente diversa rispetto ad un “greenwashing” sul pensiero unico neoliberale. Oggi sembra quasi che tutti si stiano preparando alla “transizione ecologica del sistema produttivo” implica costi e benefici a partire da capitale e lavoro, ovvero l’occasione per il sistema capitalista di riproporsi riaffermando con forza la propria egemonia. Se la transizione comporta dei costi, su quali gruppi sociali ricadranno? È dalla risposta a questa domanda che distingue il pensiero liberal-conservatore e liberal-progressista da quello socialista. È da qui che si capirà quanto una politica sia autonoma dal potere economico e finanziario. Per questo credo che rileggere la profezia di Fidel sulla crisi ecologica sia importante per collocare politicamente la distruzione degli ecosistemi e riconoscere le ipocrisie del presente. Una “profezia” coerente che proviene da Cuba, l’unico Paese al Mondo che, secondo il rapporto WWF del 29 ottobre 2016, “soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future”.

Ecco qua la trascrizione di quel discorso, di cui potete ascoltare l’originale qui:

Una importante specie biologica corre il rischio di sparire a causa della rapida e progressiva eliminazione delle sue condizioni naturali di vita: l’uomo.

Prendiamo coscienza di questo problema adesso, quando è quasi tardi per impedirlo.

È necessario far rilevare che le fondamentali responsabili dell’atroce distruzione dell’ambiente sono le società di consumo. Esse, nate dalle antiche metropoli coloniali e dalle politiche imperiali, a loro volta hanno generato l’arretratezza e la povertà che oggi flagellano l’immensa maggioranza dell’umanità. Con il solo 20% della popolazione mondiale, esse consumano i due terzi dei metalli e i tre quarti dell’energia che si producono nel mondo. Hanno avvelenato i mari e i fiumi, hanno contaminato l’aria, hanno indebolito e forato la cappa di ozono, hanno saturato l’atmosfera di gas che alterano le condizioni climatiche con effetti catastrofici che incominciamo già a patire.

I boschi spariscono, i deserti si estendono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno a finire ogni anno in mare. Numerose specie si estinguono. La pressione demografica e la povertà portano a sforzi disperati per sopravvivere anche a spese della natura. Non è possibile incolpare di questo i paesi del Terzo Mondo, colonie ieri, nazioni sfruttate e saccheggiate oggi da un ordine economico mondiale ingiusto.

La soluzione non può essere quella di impedire lo sviluppo a quelli che più ne hanno bisogno. La realtà è che tutto ciò che contribuisce oggi al sottosviluppo e alla povertà costituisce una violazione flagrante dell’ecologia. Decine di milioni di uomini, donne e bambini muoiono ogni anno nel Terzo Mondo in conseguenza di ciò, più che in ognuna delle guerre mondiali. L’interscambio disuguale, il protezionismo e il debito estero aggrediscono l’ecologia e favoriscono la distruzione dell’ambiente.

Se si vuole salvare l’umanità da questa autodistruzione, bisogna distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili nel pianeta. Meno lusso e meno sperpero in quei pochi paesi perché si abbia meno povertà e meno fame in gran parte della Terra. Non più trasferimenti al Terzo Mondo di stili di vita e abitudini di consumo che rovinano l’ambiente. Si renda più razionale la vita umana. Si applichi un ordine economico internazionale giusto. Si utilizzi tutta la scienza necessaria per uno sviluppo sostenuto senza contaminazioni. Si paghi il debito ecologico e non il debito estero. Sparisca la fame e non l’uomo.

Poiché le presunte minacce del comunismo sono sparite, e non restano pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di destinare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta?

Cessino gli egoismi, cessino le egemonie, cessino l’insensibilità, l’irresponsabilità e l’inganno. Domani sarà troppo tardi per fare quello che avremmo dovuto fare da molto tempo.

 

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