Giunge la conferma, con la dichiarazione dello scorso 3 marzo da parte della procuratrice della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, dell’avvio della indagine sulla situazione in Palestina. La dichiarazione specifica, sin dalla premessa, che l’indagine riguarderà i profili di reato di competenza della Corte a decorrere dal 13 giugno 2014. Com’è noto, infatti, la Corte Penale Internazionale, da non confondere con la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, non è un organismo del sistema ONU, ma costituisce un meccanismo internazionale in base al trattato che lo istituisce, lo Statuto di Roma, in virtù del quale, secondo l’art. 1, la Corte esercita giurisdizione esclusivamente sulle persone fisiche e relativamente alle fattispecie associate ai crimini gravi di portata internazionale, vale a dire, come specificato nel successivo articolo 5, il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione.

Si tratta, in base allo Statuto, dei « crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità internazionale» e in ciò fa riferimento a uno degli elementi cardine del diritto internazionale, vale a dire il fatto che la gravità di questi crimini di portata internazionale è tale che il loro compimento può minacciare la pace e la sicurezza internazionale, vale a dire compromettere gli obiettivi fondamentali delle Nazioni Unite. L’importanza dello Statuto, anche in relazione all’azione della Corte Penale Internazionale, peraltro, è rilevante anche perché “definisce” e, in una certa misura, “codifica”, tali fattispecie di reato, i crimini internazionali di maggiore gravità e di maggiore impatto, nel lungo articolato dei successi articoli 6, 7 e 8 dello Statuto.

Così, per crimine di genocidio si intendono atti di uccisione, gravi lesioni all’integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo in questione, impedimento delle nascite o trasferimento forzato di bambini «commessi nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Per crimini contro l’umanità si intendono tutti gli «atti inumani … diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale» commessi «nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco». Per crimini di guerra, «in particolare quando commessi come parte di un piano o di un disegno politico, o come parte di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala», si intendono, in generale, le gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949, le gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, atti gravi commessi contro coloro che non partecipano direttamente alle ostilità e coloro che non sono in grado di combattere.

Si tratta, cioè, nel caso dei crimini di guerra, delle condotte poste in essere dagli Stati o da loro agenti, o da altri soggetti di diritto internazionale, in violazione delle norme che disciplinano l’uso della forza nei conflitti armati; nel caso dei crimini contro l’umanità, dei crimini gravi contro popoli o parte di popoli, effettuati o percepiti, per la loro portata e la loro capacità di suscitare riprovazione universale, come perpetrati a danno dell’intera umanità; per genocidio, infine, secondo la definizione in uso, «gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale».

È questa la base dell’azione della Corte. Come ha messo in chiaro la procuratrice, nella sua dichiarazione, «ai sensi dello Statuto di Roma, se uno Stato Parte ha deferito una situazione all’Ufficio del Procuratore e viene stabilito che esiste una base ragionevole per avviare un’indagine, l’Ufficio è obbligato ad agire […]. Lo Statuto di Roma obbliga l’Ufficio, al fine di stabilire la verità, ad estendere le sue indagini a tutti i fatti e le prove rilevanti per una valutazione dell’esistenza della responsabilità penale individuale, ai sensi dello Statuto». È possibile aprire l’indagine sulle gravi violazioni commesse in Palestina, ai danni del popolo palestinese, sotto occupazione da parte di Israele, in virtù del fatto che, lo scorso 5 febbraio, la Camera ha deciso che la Corte può esercitare la sua giurisdizione penale in merito alla situazione in Palestina e l’ambito territoriale di questa giurisdizione si estende a Gaza e alla Cisgiordania (West Bank), compresa Gerusalemme Est.

Peraltro, come richiama, nella sua dichiarazione, la procuratrice, «la Camera ha sottolineato che non stava determinando se la Palestina soddisfaceva i requisiti di statualità secondo il diritto internazionale pubblico, o giudicando una controversia sui confini, o pregiudicando la questione di eventuali confini futuri; si trattava unicamente di determinare l’ambito di competenza territoriale della Corte ai fini dello Statuto di Roma». Ribadendo, quindi, che «ci sono basi ragionevoli per procedere e casi potenziali ammissibili», conclude confermando che l’ufficio «accoglie con favore l’opportunità di impegnarsi e con il governo della Palestina e con il governo di Israele, per determinare il modo migliore per servire la giustizia». Scomposto e aggressivo, alla luce di tutto questo, il commento, che per nulla sembra andare nella direzione auspicata dalla Corte, con cui il premier di Israele, Netanyahu, ha accolto la notizia: «l’essenza dell’antisemitismo e dell’ipocrisia».