La situazione in Nagorno-Karabakh è rimasta relativamente tranquilla con l’inizio del 2021. Lo scorso 27 dicembre, si è registrata una seconda violazione del cessate il fuoco definito dall’accordo del 9 novembre, mentre la popolazione di Stepanakert, evacuata durante i 44 giorni di guerra, sta progressivamente tornando nelle proprie case.

Rimangono però molti i punti problematici rimasti irrisolti, su tutti: lo scambio di prigionieri di guerra, la demarcazione del nuovo confine tra Armenia e Azerbaigian,  e lo status futuro del Nagorno-Karabakh. Queste e altre questioni sono state discusse l’11 gennaio a Mosca nel primo incontro dalla fine del conflitto tra il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan e il presidente azero, Ilham Aliyev, mediato dal capo di stato russo, Vladimir Putin.

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Sparatorie, prigionieri e confini

Il 27 dicembre, il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha riportato di una sparatoria avvenuta nei pressi del villaggio di Aghdam, nella regione di Khojavend, uno dei territori passati sotto il controllo azero per effetto del conflitto dello scorso autunno. Secondo la ricostruzione di Baku, i sei membri di un gruppo armato armeno rimasto nell’area avrebbero attaccato alcune unità dell’esercito azero, uccidendo un soldato. La notizia è, però, stata categoricamente smentita dalle autorità dell’Armenia.

Sempre nella regione di Khojavend, sono stati catturati 62 soldati armeni finiti al centro di un’altra controversia, rimasta irrisolta, tra le parti. Erevan ne ha, infatti, chiesto il rilascio in base all’ottavo punto dell’accordo di pace del 9 novembre [“Deve essere effettuato lo scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altri detenuti”]. Secondo Baku, invece, questi detenuti, essendo stati arrestati dopo la firma del cessate il fuoco, non sono prigionieri di guerra e dovranno, quindi, rispondere alla giustizia azera.

La demarcazione della nuova frontiera tra Armenia e Azerbaigian è un’altro dei punti spinosi tra le parti. Il confine internazionale che si può osservare su tutte le mappe della regione esiste, infatti, solo sulla carta. Grazie alla vittoria nella guerra degli anni Novanta, Erevan ha controllato per trent’anni il territorio da entrambi i lati della frontiera. Le infrastrutture – come per esempio una delle strade che collegano la capitale armena al sud del paese – sono state costruite guardando alla realtà sul territorio e senza curarsi delle cartine geografiche. Con il nuovo conflitto e l’avanzata territoriale azera, però, la questione è diventata spinosa. Baku  sostiene che la nuova frontiera debba essere marcata in base a come era definita dalle autorità sovietiche nel 1988 (ovvero prima dell’inizio della guerra). Erevan, invece, sottolinea l’importanza di riconoscere le realtà che si sono create con il tempo nell’area, oltre alle strade, anche pascoli e campi necessari al sostentamento degli abitanti della regione. La questione potrà forse essere risolta con la mediazione russa, ma qualunque soluzione è destinata a creare scontento da una parte o dall’altra.

L’incontro di Mosca

Le tante questioni aperte sono state, presumibilmente, discusse a Mosca l’11 gennaio durante le quattro ore dell’incontro a porte chiuse tra Aliyev, Pashinyan e Putin.

Ai termini del vertice trilaterale, i tre capi di governo hanno rilasciato alla stampa dichiarazioni dai toni molto diversi. Il presidente azero, forte del recente successo militare e del conseguente supporto popolare in patria, si è dichiarato soddisfatto per la fine del conflitto e per la piena attuazione delle clausole dell’accordo del 9 novembre. Il premier armeno, invece, alle prese con una difficile situazione politica interna che potrebbe portare alla caduta del suo governo, ha usato un tono molto più cupo. Pashinyan ha, infatti, sottolineato che il conflitto non è risolto vista l’assenza dello definizione di uno status per il Nagorno-Karabakh e si è detto insoddisfatto per la mancata risoluzione della questione dei prigionieri di guerra, una delle priorità per Erevan.

Putin, invece, ha espresso grande soddisfazione per la firma, avvenuta ai margini dell’incontro, di un accordo in quattro punti per la riapertura dei corridoi economici e infrastrutturali nella  regione. In particolare, il documento definisce l’istituzione di un gruppo di lavoro per la costruzione di infrastrutture ferroviarie e stradali tra Armenia, Azerbaigian e Russia, il cui primo incontro avverrà il 30 gennaio. Come sottolineato dall’analista Thomas de Waal, il vertice dell’11 gennaio è stata una delle poche occasioni in cui il presidente russo è stato presente al Cremlino dall’inizio della pandemia, a dimostrazione che la questione occupa un posto importante nella sua agenda.

I problemi da risolvere nel 2021 sono numerose e complesse. I progressi fatti potrebbero essere messi in discussione da tanti fattori, su tutti il prevalere di forze politiche in Armenia contrarie ai negoziati con l’Azerbaigian. Il costo umano del conflitto dello scorso autunno dimostra che un’altra guerra va evitata a tutti i costi.

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