La Gran Madre di Dio, considerata uno dei più importanti monumenti di architettura moderna del mondo, il 7 dicembre celebra il mezzo secolo dalla consacrazione

 

Viene considerato tra i più importanti monumenti di architettura moderna del mondo e il 7 dicembre 2020 compie cinquant’anni. È la Concattedrale Gran Madre di Dio realizzata da Gio Ponti a Taranto, la costruzione che divenne per il celebre architetto milanese l’espressione emblematica della sua fede e del suo genio artistico, alla quale si dedicò con tutto sé stesso nell’ultima parte dell’esistenza.

In un discorso pubblico, mentre era in Svizzera, di cui riferiva in una lettera al vescovo committente, Gio Ponti arrivava a dire: “Ho anche parlato della cattedrale perché ho parlato della mia vita”, facendo chiaramente capire come la vicenda biografica di uomo e di architetto fosse divenuta ormai assolutamente combaciante con la concattedrale di Taranto.

E pensare che inizialmente a progettare l’opera era stato incaricato Nervi di cui, ad un certo punto, scompare traccia dai documenti storici. “Non con la rinuncia di Nervi ma con l’accettazione di Ponti, ha inizio la storia della concattedrale: precisamente il 27 marzo 1964”, racconta Vittorio De Marco, storico dell’Università del Salento e direttore della biblioteca arcivescovile di Taranto che ha curato il pregevole volume – pubblicato da Silvana Editoriale nella collana di Biblioteca di architettura in occasione dell’anniversario del cinquantenario, dal titolo Gio Ponti e la concattedrale di Taranto. Lettere al committente Guglielmo Motolese (1964-1979).

Il travaglio concettuale e spirituale, il fervore e l’entusiasmo dell’artista durante la progettazione emergono in tutta la loro portata generativa nel prezioso carteggio tra l’architetto milanese e il vescovo.

Nelle lettere scorre la vita e il mondo ricco e complesso di Gio Ponti che comprende gli ultimi quindici anni della sua esistenza, connotata da un “un senso di sacro totalizzante” che nella frase “Io non mi dedico che a quest’opera” trova un’emblematica espressione.

Ubicata al crocevia fra due delle più grandi arterie, la struttura, unisce all’immagine religiosa la tradizione marinara della città, sostituendo alla tradizionale cupola una “vela” che si specchia nell’acqua delle tre vasche antistanti l’ingresso, simboleggianti il mare.

La facciata nelle sue due parti, quella anteriore e quella posteriore, che è la vela stessa, arretrata di 50 metri rispetto alla prima, è costituita da un doppio muro traforato alto 40 metri.

La chiesa superiore viene concepita capace di ospitare tremila persone, mentre dal piano terreno si accede lateralmente alla cripta. L’altare maggiore è realizzato in pietra; la parte rivolta ai fedeli è rivestita in ferro dipinto di verde, evocando i fondali marini. Il dipinto absidale, raffigurante il tema dell’Annunciazione con le immagini della Madonna e dell’arcangelo Gabriele, è dello stesso Gio Ponti.

La prima volta che Gio Ponti chiama ‘vela’ la sua cupola turrita è in una lettera del 9 novembre 1964, dove ricordava che aveva voluto abbassare tutto il resto della chiesa per esaltare questa parte della costruzione. “La vela – racconta Vittorio De Marco – era certamente per Gio Ponti la parte più emblematica della costruzione per i numerosi significati di cui si faceva portatrice. Essa assumeva diverse valenze tecniche e poetiche, perché si trattava di un’opera ardita, data la sua altezza e il suo disegno, tesa come una vera vela fra le due torri campanarie. Ed era anche la parte della cattedrale che lo preoccupava di più”.

La sera del 6 dicembre 1970, durante l’inaugurazione, monsignor Motolese ringraziò tutti coloro avevano collaborato per la realizzazione dell’impresa, in particolare l’architetto Ponti al quale rivolse frasi di profondo affetto e stima: “Tutto qui è suo ed in ogni cosa è trasfusa la sua passione, il suo ardore, la sua arte, il suo genio”. Ponti fu applaudito per circa dieci minuti quella sera dopo il suo discorso: “…se veniamo a parlare di quest’opera, potremo dire che è stata un lungo intimo pensiero sempre più dominante, quasi autonomo, da obbedire o esaudire. E perché no? È stata una lunga preghiera e se questa preghiera è trasferita nei suoi muri, allora sarà la preghiera nella voce silente dell’architettura e sarà una preghiera di tutti, continuerà, e la cattedrale esaudirà il voto che essa è chiamata ad assolvere e sarà la preghiera di una città (…). La cattedrale non è oggi finita, essa comincia oggi e si stacca da me; da oggi la sua presenza nella città sarà opera vostra, se fede e fedeltà opereranno per renderla finalmente più bella”.

Nei giorni che precedono le celebrazioni del cinquantenario ci riceve nel suo studio l’attuale vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, che coglie l’occasione, mentre parla del valore inestimabile della Concattedrale, per mettere in evidenza – proprio nei giorni più caldi della trattativa di Stato con Mittal che determinerà la permanenza o meno dell’acciaieria più inquinante d’Europa – “come la storia della Concattedrale e della relazione di Taranto con Gio Ponti ci mostri chiaramente che la vera vocazione del territorio non sia mai stata davvero nella direzione di uno sviluppo economico dissensato e aggressivo nei confronti dell’ambiente, ma piuttosto proteso verso la bellezza, la cultura e l’armonia tra persone, natura e lavoro”.

Monsignor Santoro ricorda che lo Spirito è il vento che ci spinge in avanti e la vela della Concattedrale raccoglie questo vento. “Attraverso questo monumento – ci dice – la città può restare in cammino, proiettarsi nel futuro e vivere il mistero”. Per il vescovo di Taranto, in questo momento di particolare fragilità, “la Concattedrale con la sua vela spiegata che si staglia verso il cielo rappresenta più che mai la Speranza”.

Ad onor del vero, per lungo tempo il rapporto della città con la Concattedrale è stato di sostanziale indifferenza. Il progetto di Ponti di vedere la grande vela bianca stagliarsi in un mare di verde non si è mai veramente concretizzato ed i campi intorno sono stati invasi dai condomini. Le vasche d’acque riflettenti, ai piedi della gradinata anteriore sono rimaste per lunghissimo tempo prosciugate.

Dopo quasi mezzo secolo di storia il nuovo sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, e l’amministrazione comunale in carica hanno rimesso mano al capolavoro dell’arte contemporanea ripristinando l’illuminazione (rimasta spenta per ben 15 anni) e riattivando le vasche d’acqua a cascata, che per un certo periodo hanno addirittura ospitato dei giochi d’acqua – assolutamente non fedeli al progetto originario – voluti dall’amministrazione che portò, nel 2006, Taranto al dissesto più grande della storia della Repubblica italiana.

“Di questa opera così importante, annoverata tra le architetture mondiali del ‘900, Taranto non ha mai ospitato una mostra. Lo farà ora – ha fatto sapere il primo cittadino -, mettendo a disposizione dei visitatori lavori di ricerca archivistica e architettonica svolti dal Politecnico, con il contributo dell’arcidiocesi, della Soprintendenza e del ministero per i Beni e le attività culturali. Inoltre, per chiudere il cerchio, accoglieremo Gio Ponti come cittadino onorario”.

Le forze della transizione economica, ecologica ed energetica che vive in questo momento la città di Taranto hanno restituito quindi la Concattedrale di Gio Ponti all’antico splendore, riportando la potente metafora della riflessione del tempio nello specchio d’acqua come riflessione profonda del senso della città e della sua vita.