Pochi mesi fa  la notizia della vittoria alle elezioni del Partito Progressista del Popolo, il più grande partito della Guyana di stampo marxista-leninista, con l’ascesa di Mohamed Irfaan Ali come presidente del Paese. La cosa non è piaciuta per niente agli Usa e che puntavano a mantenere il controllo sulle ricche riserve petrolifere della Guyana e che il precedente governo che si autodefiniva “socialdemocratico” aveva dato in concessione alla multinazionale Exxon MobilE proprio questo “regalo” era stato al centro di una durissima campagna elettorale, con il PPP/C che ha accusato Granger di svendere i beni nazionali della Guyana all’imperialismo americano.

Ora il PPP è al potere, ma in parte sarà costretto a subirsi scelte che i precedenti governi, le multinazionali ed enti internazionali avevano già preso.

A dicembre 2017, la Banca Mondiale aveva annunciato che avrebbe smesso di supportare gli investimenti in combustibili fossili. In una nota diffusa al One Planet Summit in Francia, la World Bank aveva affermato che dal 2019 non avrebbe più finanziato l’estrazione di petrolio e gas. Eppure a marzo 2019 l’istituto bancario ha approvato un finanziamento da 20 milioni di dollari per aiutare la Guyana a gestire e sviluppare le sue risorse petrolifere. Tra il 2018 e il 2019 la Banca Mondiale ha approvato finanziamenti per 55 milioni di dollari con cui sostenere il programma oil&gas del piccolo paese sudamericano, in particolare il Guyana Petroleum Resources Governance and Management Project (20 milioni di dollari con un progetto di assistenza che dovrebbe durare almeno fino ad aprile 2021).

Non solo, a maggio 2020 ha sostenuto con 38 milioni di dollari un programma di assistenza tecnica a sostegno del petrolio e del gas in Brasile.

I ricercatori del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente hanno scoperto che il mondo è attualmente sulla “buona strada” per sfruttare il 120% in più di combustibili fossili entro il 2030, in aperto contrasto con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento medio delle temperature globali al di sotto di 1,5 gradi Celsius.

Inoltre era la stessa Banca Mondiale a far sapere che senza misure urgenti per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, entro il 2030 il cambiamento climatico porterà più di 100 milioni di persone alla povertà.

L’organizzazione tedesca Urgewald in una nota a marzo, parlava di una “bomba del carbonio” pronta a esplodere con i progetti di trivellazione in corso in Guyana (carbon bomb drilling project) da parte di ExxonMobil, Hess e CNOOC.

Nella nota si spiega che dai nuovi giacimenti petroliferi al largo delle coste guianesi si potrebbero ricavare fino a 13,6 miliardi di barili di oro nero oltre a una quantità enorme di gas naturale, con emissioni inquinanti che potrebbero superare 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 in totale.

I campi petroliferi offshore della Guyana, chiarisce la nota, rappresentano una delle maggiori scoperte di greggio negli ultimi anni. E il loro sfruttamento potrebbe portare il paese ad avere le emissioni di CO2 pro-capite tra le più alte del mondo (la popolazione complessiva è di circa 780.000 abitanti). ExxonMobil ha potuto iniziare a estrarre il petrolio dai giacimenti grazie anche all’assistenza tecnica-finanziaria fornita dalla Banca Mondiale all’ex-governo locale.

Il sostegno pubblico della Banca Mondiale allo sviluppo dei giacimenti petroliferi in Guyana, evidenzia Urgewald “è una lampante contraddizione delle priorità della Guyana per il cambiamento climatico e dell’impegno della banca verso l’accordo di Parigi”.

Un’altra organizzazione non governativa, Global Witness, invece aveva puntato il dito contro l’accordo siglato dalla Guyana con ExxonMobil per concedere lo sfruttamento del maxi-blocco petrolifero offshore Stabroek.

Nel 2016 ExxonMobil aveva scoperto nuovi giacimenti in quel blocco ma le sue licenze sarebbero scadute entro un paio d’anni; in sostanza il colosso petrolifero ha condotto dei negoziati molto aggressivi con gli impreparati o complici ex-dirigenti della Guyana, facendo loro accettare un accordo a favore di ExxonMobil che farà perdere al paese 55 miliardi di dollari di potenziali ricavi dallo sfruttamento delle nuove risorse energetiche.

Non è la prima volta che Exxon usa queste strategie. Secondo la Procura Generale dello Stato di New York che ha aperto un procedimento legale contro la società nel 2018, Exxon avrebbe ordito uno “schema fraudolento” per mentire agli azionisti sui veri rischi economici, ambientali e sociali correlati agli investimenti in petrolio e gas.

Secondo i dati diffusi alla fine del 2019 dal Climate Accountability Institute, le venti compagnie più inquinanti del Pianeta sono responsabili di aver emesso in totale 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, pari al 35% delle emissioni globali di gas-serra dal 1965 a oggi, con ExxonMobil al quarto posto della lista (42 miliardi di tonnellate).

Nel frattempo, agli inizi di novembre, l’italiana Saipem ha firmato un contratto con Exxon, ottenendo di recente il via libera a procedere con la fase finale del progetto di sviluppo di Payara in Guyana da parte di Esso Exploration and Production Guyana Limited (EEPGL), controllata da ExxonMobil.

La Saipem, impegnata da sempre nel progetto del TAV in Italia e componente principale del Cepav Due, opera da tre anni in Guyana, da quando si era aggiudicata contratti per l’ingegneria, l’approvvigionamento, la costruzione e l’installazione (EPCI) di flowlines, ombelicali e riser sottomarini (SURF) nel 2017 e 2018, rispettivamente per la prima e la seconda fase dello sviluppo del giacimento offshore Liza in Guyana.

Conformemente al contratto, in attesa dell’approvazione del progetto, Saipem è stata autorizzata ad avviare le prime attività, ovvero l’ingegnerizzazione di dettaglio e l’approvvigionamento dei long lead items. Durante questa fase iniziale, gli ingegneri di Saipem hanno anche fornito ottimizzazioni di progettazione, che stanno generando valore aggiuntivo al progetto, nonostante gli impatti e le restrizioni dovute al Covid-19 e alle difficili condizioni del mercato.

Il giacimento di Payara si trova nel blocco di Stabroek, al largo della Guyana, a una profondità di circa 2.000 metri sott’acqua. Lo sviluppo di Payara collegherà un totale di 41 pozzi tra pozzi di produzione, iniezione di acqua e iniezione di gas.

Le navi ammiraglie di Saipem, Saipem FDS2 e Saipem Constellation, eseguiranno l’installazione offshore mentre un cantiere di prossima realizzazione in Guyana si occuperà della fabbricazione locale di parte degli item sottomarini. La costruzione della struttura, la più grande gru per carichi pesanti della Guyana e attrezzature specifiche per la saldatura e il collaudo, è stata assegnata ad appaltatori locali della Guyana. Inoltre, Saipem ha avviato una campagna di reclutamento per i lavori offshore rivolta a personale locale che verrà inviato a bordo della FDS2 per l’addestramento e per il lavoro vero e proprio.

Queste operazioni sono in continuità con la devastazione ambientale del paradigma estrattivista, mentre il governo progressista sembra avere le mani legate.

Il mandato di Alì durerà fino al 2025, anno in cui la compagnia statunitense ExxonMobil conta di raggiungere un output di 750mila barili al giorno dal blocco offshore di Stabroek. Le corporations, ora, temono che lo sviluppo delle risorse petrolifere della Guyana possa rallentare a causa della nuova amministrazione.

La reale preoccupazione delle multinazionali sta nell’incerto rinnovo dei contratti, nella nomina del nuovo ministro delle Risorse naturali e di tutto il nuovo governo progressista di sinistra che, come già dichiarato, avrà un atteggiamento completamente diverso dal precedente nelle concessioni a privati e nella gestione del petrolio.