L’America Latina sta passando un periodo molto difficile, ma anche un grande periodo di svolta. Nonostante i continui attacchi dalle oligarchie nordamericane e i loro bracci armati sul territorio, come grandi corporations, golpisti corrotti pronti a tutto e violenza paramilitare contro le forze progressiste di sinistra, l’America Latina negli ultimi mesi ha visto la vittoria del Movimiento al Socialismo in Bolivia, il referendum per l’abolizione della Costituzione di Pinochet in Cile, un incremento dei consensi del Frente Amplio in Uruguay, un anno di governo in Argentina senza Macri, la vittoria dei comunisti in Guyana, le rivolte contro il neoliberismo in Guatemala, le proteste in Perù e ad Haiti. Non solo, il Venezuela bolivariano e la Cuba socialista si sono distinti per la loro efficiente lotta al coronavirus e Cuba ha portato allo sviluppo del vaccino Soberana interamente pubblico, mentre in Occidente si è dipendenti dai grandi colossi farmaceutici che in questi anni hanno sempre più espropriato il nostro diritto ad una salute pubblica.
Di questo e molto altro abbiamo parlato con Geraldina Colotti, giornalista, scrittrice, poeta, latinoamericanista e curatrice dell’edizione italiana di Le Monde Diplomatique. Non si può parlare con lei senza chiedere la sua opinione sulle elezioni in Venezuela, paese che conosce ed analizza.
“Per capire queste elezioni si deve parlare della storia del Venezuela bolivariano: 21 anni di Rivoluzione, 25 elezioni svolte e 2 perse. Un buon bilancio dunque. Le condizioni di queste elezioni non sono state delle migliori tra il sabotaggio dei poteri forti e il boicottaggio politico, economico, intellettuale e mediatico. I media internazionali hanno speculato sul tasso di astensione, paragonando le cifre della partecipazione con le precedenti parlamentari del 2015, quando le destre hanno ottenuto la maggioranza in Parlamento. Invece, sarebbe più opportuno confrontare queste elezioni con le legislative del 2005, quando la destra riunita nel Coordinamento Democratico decise di disertare il voto e l’affluenza fu del 25%. Una percentuale inferiore a quella del 31% registrata il 6 dicembre. Nel 2015 la destra unita nel Tavolo dell’Unità Democratica vinse utilizzando la guerra economica che aveva provocato: scarsità di prodotti, lunghe code, perversione del sistema monetario, mercato nero e cercò di canalizzare la rabbia sociale contro il governo Maduro facendo, dunque, perdere consenso. L’astensionismo alle elezioni di quest’anno, è da ascrivere al martellante boicottaggio dell’opposizione golpista, al vero e proprio furto delle raffinerie e delle imprese all’estero come Citgo negli USA e Monomeros in Colombia, al sabotaggio dell’economia, al timore della pandemia, nonostante sia stata efficacemente contenuta dalle politiche sanitarie del governo bolivariano, e all’inasprimento criminale del bloqueo che ha portato ad una carenza fortissima di benzina, impedendo moltissime persone a recarsi alle urne. Anzi, ci si è stupiti, al contrario, del livello di partecipazione nonostante tutto questo. Non dimentichiamoci che anche quella parte della destra moderata, che ha partecipata al voto ma con u progetto opposto a quello del chavismo, ha cercato di trasformare le elezioni in un plebiscito contro Maduro, ma non è riuscita. L’affluenza è stata del 31%, su una popolazione di circa 32 milioni di persone e 20, 7 milioni con diritto di voto. E se prendessimo per buone le affermazioni di Henrique Capriles, il dirigente di Primero Justicia ex candidato presidenziale della destra, sconfitto, secondo il quale, dopo le migrazioni economiche, in Venezuela sarebbero rimasti 25 milioni di abitanti, le percentuali di votanti sarebbero ancora più alte. In questo caso, gli aventi diritto rimasti in Venezuela diventerebbero all’incirca 17,5 milioni. La partecipazione al voto sarebbe allora almeno del 36%. Inoltre, si dovrebbe considerare che, da quando nel 1999 è stata approvata la Nuova Costituzione Bolivariana, un anno dopo la vittoria di Chavez alle presidenziali, l’affluenza media in Venezuela è di 9 persone con diritto di voto su 10, rispetto agli USA con 4 su 10 o alla media dei paesi europei, dove vanno 5 su 10 alle urne”.
Si è parlato di brogli. Secondo Geraldina Colotti vige, negli Stati Uniti e in Europa, una visione neocoloniale che considera la democrazia borghese come un modello insuperabile, al punto da doverla esportare con le bombe, mentre i sistemi votati dai paesi che vogliono decidere del proprio destino senza tutele imperialiste vengono considerati non affidabili. Così, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), che Fidel Castro ha giustamente definito “il Ministero delle Colonie”, e così pure l’Unione Europea, non hanno riconosciuto le elezioni venezuelane, anche se il voto elettronico che prevede anche un riscontro manuale, in Venezuela, è una garanzia anti-brogli confermata da tutti gli “osservatori” internazionali, cominciando dal Centro Carter. Certo è che dietro la “narrazione dei brogli” ci sono forti interessi economici che mirano a mettere le mani sulle straordinarie risorse che possiede il Venezuela. Come ricorda Geraldina, “la propaganda occidentale sottolinea che la paga di un operaio venezuelano è inferiore a quella di un operaio che vive in un paese capitalista, sia d’Europa, ma anche di altri paesi dell’America Latina. Non dice, però, che il potere d’acquisto dei salari, in Venezuela, è precipitato a seguito della Guerra Economica e del bloqueo, che impedisce al Paese di vendere il proprio petrolio e di importare ciò di cui ha bisogno. Inoltre, a differenza dei Paesi capitalisti nei quali una bella fetta dei salari se ne va in bollette, in Venezuela i servizi pubblici sono gratuiti o pagati con cifre irrisorie. Prima che la guerra economica mostrasse appieno i suoi effetti, fino alla morte di Chavez – aggiunge – i salari in Venezuela sono stati i più alti dell’America Latina. Oggi il governo bolivariano sta facendo i salti mortali per difendersi dall’imperialismo e per tutelare gli interessi delle classi popolari. Nonostante abbia diminuito le proprie entrate in proporzione da 100 a 1, continua a destinare il 75% delle sue entrate a piani economici e sociali per il progresso sociale del Paese. E questo i lavoratori e le lavoratrici, coscienti di chi sia il proprio nemico, lo sanno”.
La propaganda mediatica, alimentata da chi vive negli attici di superlusso, in Venezuela o a Madrid, e da molti europei che hanno fatto fortuna in Venezuela, parla di “crisi umanitaria” e distorce i fatti dovuti al sabotaggio dei poteri forti, che loro stessi provocano.
Geraldina sottolinea le criticità e le contraddizioni esistenti in una Rivoluzione che non ha messo fuori legge la borghesia, ma continua a conviverci, scommettendo di depotenziare dall’interno lo Stato borghese, conquistando al socialismo bolivariano sempre maggiori consensi: “In Venezuela – spiega – lo scontro di classe è forte e molto evidente. No si è ancora instaurato il socialismo, ma si sta cercando di creare le condizioni per una transizione al socialismo, per questo si usa la definizione di proceso bolivariano. In questi anni si sono fatte riforme strutturali e sociali, ma non si sono fatti fino in fondo i conti con alcune pesanti eredità della Quarta Repubblica, come per esempio la corruzione. Non a caso i compagni affermano di “dormire con il nemico in casa”. Per esempio, non c’è mai stata un’epurazione dei funzionari della Quarta Repubblica: la strategia d’infiltrazione negli organi istituzionali e la loro corruzione sono un forte bastone tra le ruote. È anche vero che, data la natura di partito di massa del Psuv, vista la sua grande estensione e radicalizzazione sul territorio, le infiltrazioni e gli opportunismi sono purtroppo presenti”.
Le contraddizioni quindi esistono e le critiche interne non fanno sconti, ma si inquadrano in tutt’altro senso dai pregiudizi neocoloniali che ostentano disprezzo e superiorità nei confronti delle esperienze rivoluzionarie in America Latina. Da parte di certi intellettuali europei emerge piuttosto una sorta di “latinoamericanismo coloniale”, un esotismo culturale che ama più l’America Latina che le popolazioni latinoamericane stesse. Una pletora di “esperti” condizionati da questa visione, che nega ai popoli il diritto di avere una visione del mondo “altra” da quella del colonizzatore, dispensa opinioni a reti unificate sul mainstream su zone del mondo mai viste o intraviste solo dalle finestre di grandi hotel. Sono gli stessi che parlano di violazioni di diritti umani in paesi come Cuba, Venezuela e Bolivia tramite la retorica imperialista che strumentalizza il rispetto dei diritti umani per preparare l’opinione pubblica ad eventuali interventi militari.
Cuba. A fine novembre a Cuba è avvenuta quella che è stata chiamata Operazione San Isidro, la creazione di un “movimento dissidente” composto da 14 persone nel quartiere di San Isidro a L’Avana con il fine di destabilizzare la Rivoluzione Cubana. La retorica che portavano avanti questi “artisti dissidenti” si fondava sul contrasto alle sedicenti incarcerazioni forzate della “dittatura”, sulla violazione dei diritti umani, sulla denuncia alla militarizzazione del territorio. Geraldina Colotti ci ha spiegato che quello che è successo è simile ai fatti di Zunzuneo, ovvero un servizio di social networking e microblogging online di proprietà degli Stati Uniti commercializzato agli utenti cubani. “Si trattava di un servizio, creato nel 2010 dalla United States Agency for International Development (USAID), con il fine di sviluppare una strategia a lungo termine e incoraggiare i giovani cubani a ribellarsi contro il governo della nazione, fomentando una rivoluzione colorata. La piattaforma era stata progettata per diffondere propaganda anticomunista e filo-statunitense, ma gli obiettivi erano molto più ampli e molto più sottili. Si trattava, esattamente come il Movimento San Isidro, di un evento folkloristico ad esclusivo uso e consumo occidentale, che non aveva alcuna presenza reale sul territorio cubano, che aveva l’obiettivo di attrarre consenso internazionale soprattutto tra i giovani occidentali attraverso le narrazioni postmoderne: la strumentalizzazione neoliberale dei diritti umani, la retorica sulla pace senza giustizia sociale, ovvero la pace dei sensi e dei sepolcri per le classi popolari, come avrebbe detto Hugo Chavez”
Perù. Tra fine novembre e inizio dicembre c’è stata la destituzione del premier Vizcarra, l’insediamento per cinque giorni di Manuel Merino e, in seguito alle rivolte popolari, il governo di Francisco Sagasti. Durante le rivolte ci sono stati arresti e perquisizioni in tutto il paese, e che ancora sono in corso. Questo il bilancio di un’operazione di polizia contro alcune organizzazioni politiche peruviane come il Movimento per l’amnistia e i diritti fondamentali (Movadef), considerato il braccio legale dell’organizzazione guerrigliera marxista Sendero Luminoso: quella che è passata alle cronache come Operazione Olimpo. La polizia e la procura del Perù sostengono che gli arrestati “obbedivano agli ordini” dei dirigenti comunisti prigionieri come Abimael Guzmán Reinoso, fondatore dell’organizzazione guerrigliera, 86 anni, arrestato il 12 settembre del 1992 e condannato a due ergastoli che sta scontando in isolamento assoluto nel Penale Militare, un centro di tortura della Base Navale del Callao a Lima. Non usufruisce di assistenza medica nonostante la sua salute sia molto debilitata, sia per le torture subite che per l’età. I prigionieri politici, tutti in età molto avanzata e molto debilitati sono stati esclusi anche dall’ultimo decreto emanato per il Covid. A dicembre è stato arrestato l’avvocato di Guzmán, Alfredo Crespo, a cui viene imposto un ulteriore isolamento. Insieme ad avvocati, movimenti sociali e pezzi di sinistra peruviana intenzionata a chiudere con un’amnistia il periodo della guerra di cui restano pochissimi sopravvissuti, il Movadef appoggia il passaggio alla lotta politica intrapreso da anni dai comunisti combattenti in carcere. Geraldina ha affermato: “La verità è che il Perù non ha mai fatto i conti il fujimorismo ed ha mantenuto un sistema politico corrotto e repressivo, pronto a garantirne l’impunità, soprattutto contro l’opposizione popolare che lotta per una trasformazione strutturale degli assetti di potere. L’Operazione Olimpo è stata presentata come risultato di anni di inchieste, pedinamenti e intercettazioni, che però appare totalmente inconsistente fin dalle prime ‘prove’ esibite alla stampa, consistenti solo in incontri di solidarietà degli avvocati dei prigionieri politici e in volantini che ne chiedono la liberazione.”