Abiy Ahmed è un nome che forse non vi dirà nulla. Si tratta del Primo Ministro etiope, che nel 2019 è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per i suoi sforzi nella risoluzione del conflitto tra Etiopia ed Eritrea.

Nonostante il lodevole riconoscimento, che sembra dipingerlo come un difensore della pace, Abiy Ahmed è impegnato in una spietata guerra civile, che nell’arco di un mese ha devastato la regione del Tigrè, con quasi 50.000 rifugiati che muoiono di fame e molte vittime nei combattimenti militari.

Le divergenze politiche tra il governo centrale etiope e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF) non giustificano tutto quanto sta accadendo, e in particolare il motivo per cui il Premio Nobel per la Pace 2019 abbia scelto il metodo violento, escludendo qualsiasi tipo di trattativa.

L’ONU è intervenuta in ritardo, e alla fine ha chiesto un accesso umanitario illimitato alla regione del Tigrè. Un’iniziativa piuttosto timida rispetto a quello che dovrebbe essere il ruolo delle Nazioni Unite, definito a partire dal 2005 con il principio della “responsabilità di proteggere”.

Per quanto riguarda il Comitato Nobel, la discrezione dimostrata nei confronti di questo “cattivo esempio” testimonia l’ipocrisia, purtroppo frequente nelle relazioni internazionali, che rischia di danneggiare la propria immagine.

Traduzione dal francese di Thomas Schmid. Revisione di Ada De Micheli