Il comitato che si è costituito tra i familiari dei ricoverati e delle vittime delle RSA rivolge un accorato invito alla popolazione affinché partecipi, anche solo per mezz’ora, al sit-in sotto il Ministero della Salute venerdì 13 novembre dalle ore 9,30 alle ore 13 per chiedere che venga interrotta la tortura psicologica, e spesso anche fisica, cui sono sottoposti gli anziani ricoverati nelle RSA e abbandonati alla morte lontani anche dal minimo conforto offerto dallo sguardo affettuoso di un figlio, di un nipote, o di un vecchio amico più fortunato.

Il comitato, supportato dal CUB Sanità Italiana, chiede linee guida nazionali affinché sia consentito l’accesso nelle RSA – con tutte le misure precauzionali che l’epidemia di covid impone – ai familiari dei pazienti.

Ci viene chiesto di diffondere questo comunicato stampa e lo facciamo con partecipazione umana oltre che per senso civico e deontologia professionale, perché le numerose storie raccolte non possono lasciarci indifferenti.

La signora S.M., membro del comitato, ci dice “ abbiamo sentito ripetere in modo patetico e spesso strumentale che non dobbiamo dimenticare i “nostri anziani” ma che dobbiamo loro “tenerezza e cure” e che la covid li sta sterminando e noi siamo tutti responsabili se non seguiamo le indicazioni dell’Istituto superiore della Sanità, dell’OMS, del nostro governo, dei vari virologi, epidemiologi, veterinari, biologi e showmen e showomen vari che si alternano sugli schermi televisivi, ma la realtà vera, quella fatta di silenzi disperati, o di lacrime, o di vecchi legati nei letti, e di escrementi e di piaghe da decubito e di terrore negli occhi dei nostri vecchi è cosa molto diversa dall’ipocrisia di quelle parole e di quegli show”.

Gli orrori vari che ci sono stati raccontati e che in diversi casi sono inequivocabilmente documentati, in realtà cozzano duramente con le raccomandazioni propagate per migliaia di euro ad apparizione televisiva e del tutto prive di rispetto proprio per quei “nostri cari” che sono stati lasciati morire in abbandono e solitudine, impossibilitati ad avere il conforto dei loro familiari.

Non solo diffondiamo il comunicato, ma caldeggiamo l’invito a partecipare al sit-in del 13 novembre a chiunque sia sensibile al problema, anche se non ha “i suoi vecchi cari” ricoverati, perché le parole di alcuni membri del comitato ci fanno sentire davvero tutti responsabili e colpevoli se non facciamo qualcosa per ridurre il tormento dei ricoverati superstiti, come ci viene chiesto anche da chi ormai la propria madre o il proprio padre li ha persi senza poterli più vedere perché “sequestrati” e lasciati in attesa della morte nelle condizioni più avvilenti e dolorose che nessun essere umano dovrebbe tollerare, né per sé, né per i propri cari e per nessun vivente.

Dalla signora S.M. apprendiamo “che durante i mesi dalla chiusura per via del Covid, non siamo più riusciti ad avere informazioni veritiere sullo stato di salute di mio padre, e non possiamo dimenticare lo strazio in cui lo abbiamo visto nelle rare video-chiamate concessegli e la disperazione che si leggeva sul suo viso. La direttrice sanitaria continuava a dire che i parenti erano inutili e che tutto andava bene. Non era vero. A giugno siamo riusciti a trasferirlo dalla RSA in cui si trovava, in altra casa di riposo, privata, dove la dottoressa ha riscontrato piaghe, denutrizione, disidratazione, grave infezione alle vie urinarie, oltre a difficoltà a nutrirlo con cibi solidi perché, per risparmiare tempo nella RSA in cui si trovava, gli avevano cambiato la dieta tenendolo in vita solo con frullati. Quell’infiammazione alle vie urinarie l’ha portato a morire dopo 20 giorni per blocco renale.”

Chiediamo alla nostra interlocutrice se ci fossero problemi economici a giustificare tale trattamento e la risposta è la seguente: “Noi abbiamo venduto la sua casa per pagare qualunque cosa lo aiutasse a stare un po’ meglio, ma è finito male lo stesso. Pensiamo a quei poveracci che invece non hanno soldi e nemmeno parola”.

La signora A.I. ci racconta una storia simile e aggiunge che per circa 85 pazienti ricoverati nella RSA in cui si trovava sua madre il personale complessivo, addetto cioè sia all’assistenza, che alla cucina, alle pulizie, alle cure sanitarie e all’amministrazione era di una dozzina di persone.

Il signor S.T., che ha il fratello più anziano di lui di 15 anni ricoverato in un’altra RSA, ci racconta a sua volta una storia di disperazione alla quale aggiunge qualcosa che interroga anche il senso civico di chi crede nel rispetto e nella dignità del lavoro. Nella RSA dove suo fratello è ricoverato, e ancora in vita sebbene in condizioni psicologicamente drammatiche, sono stati licenziati due dipendenti perché avevano osato criticare il trattamento dei pazienti, ipocritamente chiamati ospiti.

La signora S.M. ci dice “andate a vedere con quanto poco personale hanno gestito e stanno gestendo i ricoveri in questi mesi, con che tipo di contratti assumono, quanti operatori sono andati via o sono stati licenziati. Fate una vera inchiesta su cosa succede nelle case di riposo, finanziate anche dalle ASL.” La sua voce si rompe e la commozione prende anche chi ascolta, quando aggiunge “I contatti, una carezza, una parola gentile, un volto conosciuto, magari con guanti e mascherine, per alcuni anziani non più in grado di capire, sono la sopravvivenza. Non stanno morendo solo di COVID, vedete anche i numeri degli altri morti, non li ignorate!”. Le chiediamo perché non fa una denuncia formale per ciò che ha subito suo padre ma la sua risposta ci fa capire quanto sia difficile intervenire se non si hanno “le spalle coperte”. La società di cui fa parte la RSA che ha ridotto suo padre in condizioni larvali “è un impero delle case di riposo” ci dice “motivo per cui mi è  difficile anche denunciarli, dovrei trovare un bravo avvocato costoso e non posso permettermelo”.

Poi, questa donna ancora segnata dal dolore non solo per la morte, che ha ben chiaro sia cosa naturale, ma “per come” è arrivato a morire suo padre, ci fa un invito duro. Lo riportiamo anche se non è riferibile alla nostra testata. “Voi – ci dice – però indagate, fate inchieste, controllate prima di prendere soldi per pubblicità da gente che si arricchisce con un dramma come la vita degli anziani, di persone non autosufficienti e che chiunque siano stati nella vita oggi non hanno più voce. Le grandi e piccole case di riposo di oggi sono come i manicomi di un tempo, strutture chiuse dove nessuno può più entrare. Non lo chiedo per me, non posso più, ma per quanti stanno vivendo ancora questo incubo”.

Per tutto quanto sopra e per ciò che non possiamo riportare per motivi di spazio, diffondiamo il comunicato stampa e invitiamo caldamente chiunque sia a Roma a partecipare al sit-in per ottenere rispetto vero e cure dignitose per gli anziani nelle case di riposo.