La strage di Carignano è un femminicidio, un infanticidio e non solo. Barbara è il nome della donna uccisa per mano del marito: siamo di fronte all’ennesima tragedia ma con qualcosa di diverso. Ciò che è accaduto nella località del torinese non è solo un femminicidio ma la distruzione di una famiglia intera: la moglie, le gemelle di due anni, di cui una sta lottando disperatamente per sopravvivere, e il cane. È quest’ultimo l’elemento capace di mettere in luce qualcosa di differente rispetto ad altri casi simili.

Premesso che condanno ogni forma di violenza e concordo con chi accusa certa stampa di sottovalutare la gravità di questi fatti, non posso non analizzare il lato simbolico di questa terribile vicenda familiare. Da anni combatto la violenza con gli strumenti della parola che si fa dialogo, con la scrittura e la testimonianza personale. Qui è bene non fermarsi solo al femminicidio, ma osservare la questione nel suo insieme.

Prima di tutto c’è lo sgomento di chi conosceva il marito assassino e lo vedeva come persona equilibrata e dedita alla famiglia; obiettivamente nella vita ci è capito di conoscere una persona che poi si è dimostrata all’opposto di come ci era apparsa fino a quel momento. Gli esseri umani vestono maschere, anche più di una sovrapposta all’altra, e il vero volto non sempre è dato conoscere se non in circostanze particolari come la scoperta che la propria vita sta per cambiare in modo irreversibile. Il progetto a cui si era dediti è crollato e, pur biasimando la mano assassina, devo considerare ciò che nella mente del marito e padre può aver preso forma.

Troppo riduttivo in questo caso dire che è il solito uomo incapace di accettare di essere messo da parte, non lo conoscevo ma credo ci sia perlomeno dell’altro da considerare. Come in ogni coppia le responsabilità sono di entrambi, anche lui era colpevole se il matrimonio era in difficoltà e se la moglie aveva deciso di separarsi, forse era troppo dedito al lavoro e poco attento alle esigenze di lei, forse, chissà, aveva altri interessi fuori dal matrimonio, ma non potremo mai trovare risposte a questi dubbi.

Certamente è sempre necessaria una lettura simbolica, di analisi della comunicazione, per trovare risposte il più possibile veritiere circa l’episodio di violenza al fine di non fare errori di valutazione. Un elemento da tenere in considerazione, perché al fuori di ogni schema comportamentale fino ad ora seguito, in questo sterminio familiare è il non aver dimenticato di sopprimere il cane. Il cane non è un figlio, non è frutto del progetto famiglia pur facendone parte: eliminando il cane l’uomo ha voluto cancellare completamente ogni significante. La sua famiglia doveva scomparire in ogni sua rappresentazione. Il cane è simbolo di fedeltà e uccidendolo egli ha voluto dire che il comportamento più importante capace di rendere solido il nucleo famigliare è l’essere fedeli non solo al partner, ma all’intera famiglia. Sì, perché quando si mettono al mondo i figli si “promette” loro una vita serena, una crescita equilibrata, l’amore dei genitori e le promesse se non mantenute rendono i genitori infedeli agli occhi dei figli. Non è solo il venir meno del potere sulla moglie, l’incapacità di accettare l’abbandono e l’emancipazione femminile, quando si distrugge una famiglia si vuol cancellare l’intero progetto. Con queste valutazioni non si difende l’assassino, ma si può tentare di comprendere le motivazioni del gesto per il fine di poterlo prevenire con la cultura. La mia ipotesi è che lui stesso, l’assassino, si sentisse colpevole e non riuscendo a trovare una soluzione ha “cancellato” il problema; non è un modo, ripeto, per giustificarlo ma un’analisi. E se insegnassimo fin da piccoli che si può sbagliare? Che il matrimonio è una scelta? Che creare una famiglia è un impegno infinito? Dobbiamo educare ad accettare che se qualcosa va storto e non si dovesse riuscire a riportare l’equilibrio si può ammetterlo e separarsi. Il ripensamento è una eventualità da tenere in considerazione, far credere di non poter sbagliare è uno dei mali peggiori che un certo retaggio ha inserito più o meno surrettiziamente nelle menti umane. Ciò che mi dà da pensare è che non abbia distrutto anche il contenitore, la casa che racchiudeva l’intero nucleo, ma per avere risposte dovrei possedere maggiori elementi.

È indispensabile tenere conto di ogni elemento per inoltrarsi con serietà nell’analisi di una tragedia come la soppressione di una famiglia: trovare risposte adeguate è il fine che tutti dobbiamo perseguire. Leggere tra le righe di questo massacro può suggerirci di analizzare i piccoli segnali utili alla prevenzione, fermarsi alla solita analisi oggettiva è riduttivo seppur condivisibile emotivamente.