Tra poco più di tre mesi, il 6 dicembre, si celebreranno le elezioni parlamentari in Venezuela. Le ultime elezioni, tenute il ​​6 dicembre 2015, hanno visto la vittoria dell’opposizione anche grazie all’astensione di 2 milioni. L’astensione si verificò in gran parte nell’elettorato chavista, deluso per le divisioni interne, per alcune politiche economiche del governo bolivariano e per l’ambiguità del “chavismo critico”. Ma oggi le circostanze sono altre e il socialismo bolivariano ne è uscito rafforzato, grazie soprattutto al sostegno popolare, dopo aver resistito negli ultimi anni a molti attacchi politici segnati dal bloqueo economico, da incursioni mercenarie e da minacce militari da parte delle amministrazioni statunitensi. In questi ultimi due anni il Venezuela ha subito forti attacchi alla sua sovranità da parte dell’imperialismo USA, resi noti soprattutto con l’autoproclamazione di Guaidó, il 23 gennaio 2019.

Ad aprile di quest’anno Mike Pompeo aveva affermato la sua volontà di invadere il Venezuela, cosa che non è andata in porto a causa del fallimento dell’operazione Gedeone. Poi a giugno ci furono le rivelazioni da parte del superfalco John Bolton, diplomatico statunitense ed ex consigliere per la sicurezza del presidente Trump, contenute nel suo libro ‘The Room Where It Happened: A White House Memoir’ , nel quale affermava che il Presidente USA ritenesse “cool” invadere il Venezuela. Un libro che aveva tutto l’intento di smontare qualsiasi narrazione che vuole dare l’immagine di Donald Trump come un antimperialista, pacifista che cerca di fermare le élite guerrafondaie del Deep State. Evento che obbligò John Bolton a lasciare la posizione di Consigliere per la Sicurezza.

Oggi a proporre un’invasione del Venezuela è Marco Rubio, senatore repubblicano, con il fine, secondo la Republican War Room, di assicurarsi i 29 voti del Collegio Elettorale dello Stato della Florida a novembre, insistendo per inserirla come intervento militare nell’agenda politica 2020 – 2024. Sebbene i suoi due alleati, Mike Pence e Mike Pompeo, abbiano rifiutato la proposta, Rubio ha sempre più contatti con il Presidente soprattutto per quanto riguarda l’America Latina. Recentemente il Pentagono ha ritirato 9.500 soldati dalla Germania e si pensa che la destinazione di quella capacità militare sia diretta in America Latina.

L’attuale solidità del socialismo bolivariano è il motivo per cui l’ala più radicale dell’opposizione venezuelana raggruppata dal G4 (Voluntad Popular di Leopoldo López, Primero Justicia di Henrique Capriles, Acción Democrática e Un Nuevo Tiempo), in continuità con le dichiarazioni dei funzionari USA, prevede di boicottare le elezioni. Il fine è quello di riattivare delle nuove “guarimbas”, ovvero delle mobilitazioni di strada esattamente come nel 2017.

Fonti colombiane con accesso a funzionari USA ed a dirigenti dell’opposizione venezuelana hanno appreso recentemente di una videoconferenza tenuta tra membri dell’Ufficio Esterno USA per il Venezuela a Bogotá (VAU) e diversi dirigenti dell’opposizione del G4 guidati da Leopoldo López, presidente di Voluntad Popolar. In questa riunione si sono ultimate le procedure per sabotare le elezioni di dicembre. A tale riunione non ha partecipato Juán Guaidó che, dopo essere stato definito da Trump “debole bambino”, sembra stia perdendo il sostegno USA, il quale si è inclinato invece verso vecchi estremisti come Lopez. Nella videoconferenza quest’ultimo ha chiesto ai membri del G4 di reclutare immediatamente 100.000 volontari con l’obiettivo di mobilitarli preventivamente per prepararli, il giorno delle elezioni, a coprire tutte i seggi elettorali del Paese caraibico.

La fonte rivela che, secondo quanto spiegato da Leopoldo López, i volontari devono avere la capacità di manipolare e documentare irregolarità, vere e presuntesi, verificatesi ad esempio nell’utilizzo di risorse statali da parte del Partito Socialista Unito del Venezuela e dei partiti membri del Polo Patriottico. Tra i molteplici obiettivi vi è l’esigenza di dimostrare una bassa affluenza di votanti, di evidenziare violazioni delle forze del Plan República, di boicottare il voto e svolgere “resistenza civile” per ostacolare sia il voto filo-madurista sia delle frange dell’opposizione propense al dialogo.

Il G4 non parteciperà, per scelta, alla competizione elettorale, quindi il suo obiettivo sembra essere quello di cercare di convincere la comunità internazionale dell’antidemocraticità del proceso bolivariano e delle elezioni parlamentari, con il fine di escludere i chavisti dalla prossima Assemblea Nazionale. Leopoldo Lopez ha inoltre fissato l’obiettivo di riunire 200.000 volontari che consentirebbero alle opposizioni di avere circa 25 attivisti per ogni centro di voto in grado di sostenere le proteste. Ad avallare le proposte sono stati Richa Bhala, funzionario della VAU e Vice Console dell’Ambasciata USA ad Islamabad (Pakistan), e Rafael Foley, capo dell’Ufficio Esterno USA per il Venezuela a Bogotá. Entrambi hanno insistito sul fatto che il G4 deve passare ad una struttura di resistenza e disobbedienza civile che trascenda i 4 partiti politici di opposizione, coordinando l’azione attraverso una piattaforma di opposizione capace di aggiungere nuove forze. Si sta dunque pensando ad una nuova strategia violenta di boicottaggio formata dai partiti della destra tradizionale venezuelana che, incapace di unità e ricca di contraddizioni, trova il suo unico legame nell’opposizione alla Rivoluzione Bolivariana e nella subordinazione alle influenze USA.

Il 6 dicembre, giorno in cui si terranno le elezioni parlamentari, secondo i prognostici, ci sarà l’ennesimo tentativo antidemocratico ed illegittimo di rovesciare il socialismo bolivariano. Si attendono nuove guarimbas? Non è dato sapere, ma ciò che è sicuro, come è stato già dichiarato da funzionari bolivariani, qualunque sia l’amministrazione USA al potere, il popolo venezuelano si mobiliterà in difesa del petrolio e per la difesa della sovranità nazionale.