Emergono dubbi sulle modalità di funzionamento del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No Localizadas promosso dalla Comisión Nacional Búsqueda che dipende dalla Secretaría de Gobernación del paese.

In Messico sono 73.308 le persone scomparse secondo lo storico Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No Localizadas (Rnpdno), curato dalla Comisión Nacional Búsqueda. 71.678 è il dato degli scomparsi a partire dal 2006, anno della cosiddetta guerra al narcotraffico scatenata dall’allora ex presidente Felipe Calderón e rivelatasi un fallimento. Gli stati dove il numero di desaparecidos è maggiore sono quelli di Sinaloa, Veracruz, Estado de México, Jalisco e Tamaulipas. Il 75% degli scomparsi ha tra i 15 e i 30 anni.

Dal marzo 1964, quando fu registrato il primo caso di desaparición, fino ad oggi, esiste un registro di 177.863 persone scomparse, delle quali 73.308 continuano a non esser state ritrovate. Sono invece 104.645 quelle che sono state localizzate. Del totale di coloro che sono stati ritrovati, 6.401 erano senza vita e 98.242 ancora vivi.

Queste cifre, spiega María Guadalupe Aguilar Jáuregui, coordinatrice del Colectivo Familias Unidas por Nuestros Desaparecidos Jalisco (Fundej), fanno capire il livello di disinteresse delle istituzioni e il tentativo delle forze dell’ordine di derubricare tutte le sparizioni a casi di persone con problemi di droga o simili. Sono molti i familiari che si sono mossi autonomamente per cercare i desaparecidos nelle fosse clandestine o hanno iniziato a frequentare i comitati che si occupano di cercare gli scomparsi, come accaduto alla signora Guadalupe Valle, che ne 2017 ha perso tre figli sequestrati a Reynosa, nello stato del Tamaulipas. La giustizia, dopo aver promesso che nel giro di pochi giorni che il caso si sarebbe chiarito, adesso nemmeno si preoccupa di rispondere più alle richieste di giustizia della donna, mostrando un’attitudine poco diversa da quella dei militari argentini all’epoca della dittatura.

Lo stato del Tamaulipas è uno di quelli dove il narcotraffico ha fatto sentire maggiormente la sua presenza. Nel 2010, nel municipio di San Fernando, furono uccisi 72 migranti e vennero scoperte centinaia di fosse clandestine all’epoca della narcoguerra tra Los Zetas e il Cartello del Golfo.

Utilizzando machete e pale i familiari dei desaparecidos spesso cercano per giorni le fosse clandestine accompagnati dalla Comisión Nacional de Búsqueda, che dipende dalla Secretaría de Gobernación (Segob), ma è accusata frequentemente di rendere pubblici comunicati allarmanti sul numero degli scomparsi senza poi attivarsi realmente affinché i parenti degli scomparsi ottengano davvero giustizia.

Olga Sánchez Cordero, titolare della Secretaría de Gobernación, ha dichiarato che i dati del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No Localizadas saranno resi pubblici in modo tale da essere consultabili liberamente sul web. Tuttavia il registro, che parte dalla Ley General en Materia de Desaparición Forzada de Personas del 2017, non permette un utilizzo libero dei dati, ma, per il momento, funziona soltanto come una piattaforma visualizzabile. Al contrario, il Registro Nacional de Datos de Personas Extraviadas o Desaparecidas (RNPED), attivo fino al 2018, offriva la possibilità di scaricare i dati e che gli utenti avessero modo di verificare le informazioni, a differenza del Registro Nacional de Personas Desaparecidas y No Localizadas, che rischia di trasformarsi in un falso esercizio di trasparenza.

Secondo l’avvocato Jorge Verástegui, i risultati del Registro Nacional de Datos de Personas Extraviadas o Desaparecidas corrono il rischio di non essere quelli attesi, a partire dalla posizione della Comisión Nacional de Búsqueda, secondo la quale i nomi della persone scomparse non vanno pubblicati nella nuova versione con la singolare motivazione del “respeto a la intimidad de las personas que están reportando”.

“Vogliamo verità e soluzioni”, hanno ribadito i familiari dei desaparecidos al presidente Obrador, mentre nello corso mese di luglio sono stati rinvenuti i resti di Christian Alfonso Rodríguez, uno dei 42 studenti della scuola rurale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, vittime di sparizione forzata a Iguala tra il 26 e il 27 settembre 2014. La conferma è arrivata da alcuni frammenti ossei che, secondo l’Università di Innsbruck che li ha analizzati, appartengono al ragazzo.

Passata alla storia come la strage di Ayotzinapa, con 6 morti e 43 desaparecidos ricordati sui muri di tutto il Messico, Nos faltan 43, la mattanza degli studenti è stata insabbiata per anni, basti pensare alle false ricostruzioni dei fatti da parte del procuratore generale di allora, Jesus Murillo, e del direttore dell’agenzia per le investigazioni criminali, Tomás Zerón, datosi alla latitanza e ricercato tuttora dall’Interpol.

I familiari dei desaparecidos di Iguala, e di tutto il Messico, continuano a reclamare verità e giustizia.

David Lifodi