La elezioni italiane (un referendum, elezioni regionali e amministrative) hanno, come al solito, sconvolto le previsioni dei sondaggisti che davano vittorie schiaccianti al centro destra in un senso antigovernativo.
E’ successo esattamente il contrario: nonostante l’evidente irragionevolezza e incompletezza di una riforma costituzionale che semplicemente tagli i parlamentari senza ulteriori correzioni di alcun tipo i Sì alla riforma sono passati a grande maggioranza ma sono parsi più un sì al governo PD-5stelle che alla riforma stessa; passando alle regioni si potrà notare come in tutti i casi in cui il governatore uscente si ripresentava egli è risultato eletto; in più si tratta di persone diversissime tra di loro ma unite in una gestione molto precisa e ferma della pandemia: Zaia, leghista, batte il record del candidato più votato (oltre il 70%) con la sua immagine di uomo in maniche di camicia, permanentemente in conferenza stampa che ha fermato il covid con mosse intelligenti; Emiliano, PD, è quello che ha bloccato alla stazione di Bari tutti i milanesi che scappavano dalla lombardia e li ha messi in quarantena; De Luca, estroverso bastonatore di Matteo Salvini, pugno di ferro nel tener lontano il virus dalla Campania che tutti ritenevano vulnerabilissima; Toti, Forza Italia, personaggio centrale della ricostruzione a Genova dopo il crollo del Ponte Morandi. Tutti personaggi mediatici capaci di tranquillizzare l’italiano medio definitivamente stressato dalla pandemia. Ed anche Giani, PD, nuovo candidato che ha mantenuto lo storico predominio della sinistra in Toscana si è perfettamente presentato come esponente della continuità con in più il classico tema del “voto utile per battere la destra”.
Doveva vincere la protesta? Salvini, capo della Lega Nord (furbescamente levato il nord dai giornali ma non dalla dizione ufficiale) si è prodigato per far la parte dell’uomo contro ma gli è andata malino, rimontato dalla destra della Meloni, donna, appassionata e competente e, dopo queste elezioni, possibile nuova leader della destra. I 5stelle che avevano vinto le elezioni politiche sul tema della protesta penalizzati e fortemente ridimensionati dall’essere riusciti a stare al governo sia con la Lega che con il PD.
La campagna si è caratterizzata sempre più su aspetti mediatici: le ideologie e i programmi sono in secondo piano, parecchio in lontananza.
Anche l’affluenza abbastanza alta nonostante le precauzioni sanitarie e una certa paura strisciante sembrano dirci che la gente vuole normalità.
E l’ecologia, il pacifismo, i nonviolenti, la sinistra radicale, i difensori dei diritti umani? C’è un altro mondo, sicuramente per ora minoritario, che non esprime posizione politica, non riconoscendosi con le espressioni radicali della politica; tali posizioni si esprimono in istanze elettorali improvvisate, che siano formazioni ecologiste o di ispirazione socialista e comunista, o movimenti decisamente più nuovi e meno identificabili; queste forze, che probabilmente si potrebbero unire in un “Alleanza dei Beni Comuni”, si presentano elettoralmente in ordine sparso, hanno poco o zero spazio mediatico e in genere non raccolgono altro che qualche consigliere qua e là.
Ma finché non imparano a dialogare e a darsi nuove forme organizzative restano nell’aneddotica testimonianza delle tribune elettorali, sempre meno viste e sempre più messe in orari televisivi improbabili.
Sicuramente esiste quella che una volta si chiamava “società civile” che si interroga sul cambiamento necessario, che vede la crisi climatica e le sue immediate conseguenze, che coglie la sofferenza profonda dei popoli e l’anelito per nuove soluzioni, che si preoccupa per l’autoritarismo che avanza. E’ probabile che presto da lì possa arrivare una risposta e una proposta a questa complessiva decadenza e destrutturazione della politica.