Il 18 agosto in Mali c’è stato un nuovo colpo di Stato. Dopo mesi di proteste e una giornata particolarmente movimentata, un gruppo militare ha arrestato il Presidente Ibrahim Boubacar Keita (Ibk) e il primo ministro Boubou Cissé. Solo poche ore prima le agenzie riportavano spari in una caserma e l’evacuazione di una sede TV.

Capire il Mali

Il Mali si trova nella regione africana del Sahel, una zona complicata, instabile e dove proliferano gruppi terroristici. Si tratta di una regione che è anche interessata da gravi problemi di sicurezza alimentare e povertà. Si tratta di un’area profondamente interessata delle rotte migratorie verso il mediteranno, come passaggio per chi viene da paesi più a Sud percorrendo un tragitto durissimo in mano a trafficanti di esseri umani, ma anche come punto di partenza di tanti giovani alla ricerca di una vita migliore lontano dalla violenza.

Storia

Per comprendere quanto è successo in questo paese è utile avere un’idea della sua storia travagliata.

Ex colonia francese, si rende indipendente nel 1960, inizialmente come Federazione del Mali; semplicemente Mali dopo la separazione del Senegal. In seguito, venne eletto il primo presidente, il quale, abbagliato dalla possibilità di creare uno stato socialista africano, diede inizio a una serie di misure, tra cui svariate nazionalizzazioni, che, però, ebbero l’effetto di piegare l’economia.

Solo pochi anni dopo, nel 1968, il malcontento per questa situazione sfociò in un primo colpo di Stato. Da questo momento si instaurò un regime che durò, sventando alcuni tentati colpi di Stato, fino al 1991. In quell’anno, dopo grandi proteste nella capitale Bamako, un nuovo colpo di Stato militare spodestò il presidente Traoré.

A questo punto fu creato un governo di transizione civile che condusse il paese alle elezioni del 1992. Da quel momento si sono svolte regolari elezioni (ogni cinque anni, con un limite di due mandati per i presidenti), ma la tranquillità non durò a lungo.

Nel 2008 si acutizzarono le tensioni con il gruppo etnico e secessionista dei Tuareg. La situazione fu, poi, peggiorata nel 2011 dalla crisi libica. Una volta deposto il generale Gheddafi, molti combattenti mercenari che gli erano al fianco rientrarono in Mali e tra questi vi erano anche svariati membri di gruppi terroristici (Al Qaida).

L’anno successivo i secessionisti Tuareg si allearono con i gruppi jihadisti e presero il controllo del nord del paese; qui si assistette a quello che negli anni successivi abbiamo visto tante volte nei territori controllati dall’Isis: violenze, abusi, distruzione di siti storici e norme severissime.

Con il Paese nel caos, sommerso dalla violenza di una guerra civile, i militari attuarono un nuovo colpo di Stato.

Le radici del colpo di Stato del 2020

In queste lotte e nelle loro conseguenze troviamo le radici del colpo di Stato a cui assistiamo nel 2020.

Il clima di instabilità ed esposizione al terrorismo che viveva il Mali nel 2012 rese necessario anche un intervento di matrice europea, in particolare su spinta dell’ex colone francese per raggiungere le elezioni nel 2013.

Proprio in questa occasione Ibk, il presidente rimosso la scorsa settimana, fu eletto. All’epoca era figura politica già nota ed esperta (fu primo ministro negli anni 90) e particolarmente apprezzata.

Gli anni del presidente Ibrahim Boubacar Keita

Dal momento della sua elezione la popolarità di Ibk ha continuato a calare.

Nonostante l’intervento Europeo per condurre il paese alle elezioni, l’aiuto a riacquisire il controllo sui territori nel Nord del Paese e combattere il terrorismo, la situazione non si è mai stabilizzata del tutto. I ribelli e i gruppi jihadisti si rifugiarono in zone remote da cui han continuato a perpetrare violenze e attacchi terroristici contro la popolazione civile.

Negli anni successivi il malcontento popolare ha continuato a farsi strada in questo paese devastato dai continui colpi di stato, dal terrorismo e dalla guerra civile.

Il paese è tra i più poveri al mondo, con uno degli indici di sviluppo umano più bassi registrati, collocandosi 185º su 189 paesi. A questo si somma l’insicurezza, come ci mostrano i dati del UCDP (Uppsala Conflict Data Program) il numero di morti legati a conflitti ha continuato a crescere negli ultimi anni.

Il tutto si inserisce in un contesto regionale che non è migliore della situazione interna, anche alcuni Stati confinanti, come il Niger e il Burkina Faso, lottano con instabilità, terrorismo e povertà.

2020: nuove elezioni in Mali

Tutte queste difficoltà che la popolazione vive ogni giorno hanno minato i consensi del Presidente Ibk. Già nel 2018 è riuscito a farsi rieleggere con fatica e ricevendo accuse di brogli. Nel 2020 la situazione si è ripetuta, peggiorata, per le elezioni legislative. In questo caso si è assistito ad attività sospette e che mostrano chiaramente il clima di insicurezza in cui vive il paese, come il sequestro di un leader dell’opposizione, Soumaïla Cissé, a pochi giorni dalle elezioni.

A ciò si aggiunge che i risultati di ben 31 seggi sono stati ribaltati dalla Corte Costituzionale, aprendo la strada a nuove accuse di brogli.

Le opposizioni, in seguito alle elezioni di marzo, han dato vita al Movimento del 5 Giugno e in questa data iniziano proteste di piazza per chiedere le dimissioni del presidente, accusato di corruzione e di essere incapace a gestire l’economia, la crisi sanitaria e la minaccia jihadista. I manifestanti si sono catalizzati intorno alla nota figura dell’Imam Mahmoud Dicko (di posizioni conservatrici, ma comunque contro il fondamentalismo).

Le proteste, tra alti e bassi, sono proseguite tutta l’estate. Già a Luglio gli scontri si erano accesi al punto che la polizia aveva sparato sui manifestanti, uccidendone almeno 11. Nemmeno questa dura repressione, però, è bastata a fermare le proteste.

Il colpo di Stato

A questo punto arriviamo al culmine delle proteste con il nuovo colpo di Stato, partito proprio dallo stesso campo dove sono iniziati i tumulti nel 2012, a Kati, a pochi chilometri dalla capitale.

Il Presidente Ibk e il primo ministro Boubou Cissé sono stati arrestati da un gruppo di militari ribelli il 18 agosto.

Poche ore più tardi Ibk ha deciso di non provocare ulteriori conflitti e ha rassegnato le dimissioni, sciogliendo così anche il governo e l’Assemblea nazionale. L’arresto e le dimissioni hanno provocato la gioia e i festeggiamenti nelle piazze di Bamako.

I golpisti han dato vita a un Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo, il quale si proporre di condurre il paese verso nuove elezioni, prive di brogli e corruzione (che, invece, ci sarebbero state durante l’ultima tornata elettorale), come ha riportato il portavoce del gruppo militare ribelle, Ismael Wague. Per intanto questo comitato ha chiuso tutti i confini del paese, anche quelli aerei, e imposto un coprifuoco dalle 21 alle 05.

A quanto pare anche il Movimento del 5 giugno ha deciso che collaborerà con la giunta militare per portare il paese a elezioni.

Il 23 agosto, la giunta militare ha annunciato di voler attuare una transizione, guidata da un organo militare, della durata di tre anni e di essere disposti a rilasciare Ibk.

Le reazioni internazionali

Il colpo di Stato è stato prontamente seguito da diverse reazioni di altri stati o organizzazioni internazionali, tutti preoccupati dalla crescente instabilità in una zona tanto complicata.

Da subito è arrivata una condanna dall’ONU, dal suo segretario generale Antonio Guterres e dal Consiglio di Sicurezza. Hanno esortato la liberazione di Ibk e del primo ministro e il ripristino dello stato di diritto. Inoltre, è stato espresso pieno supporto all’Unione Africana e all’ECOWAS per raggiungere una soluzione pacifica e negoziale con il Mali.

https://twitter.com/UN_Spokesperson/status/1295809558431105024?s=20

In Africa

Anche l’Unione Africana ha subito condannato il colpo di Stato.

Anche dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS / CEDEAO) ha da subito condannato il colpo di Stato e ha deciso di reagire. Per questo si è deciso di sospendere il Mali dall’istituzioni dell’ECOWAS, chiudere tutte le frontiere e bloccare anche i flussi finanziari, economici e commerciali (esclusi quelli per beni essenziali e dotazioni per contrastare il coronavirus). In seguito, ha inviato una delegazione di mediazione, arrivata in Mali sabato.

https://twitter.com/ecowas_cedeao/status/1297506278437261312?s=20

In Europa

Non sono mancate reazioni anche dagli Stati europei e dagli organi dell’Unione Europa. I quali sono consapevoli, non solo dei rischi per la popolazione locale, ma di un deterioramento della stabilità dell’intera regione. Una situazione che potrebbe rafforzare i gruppi terroristici e far aumentare i flussi migratori nel Mediterraneo.

Tra i primi capi di Stato a esprimersi c’è stato il presidente francese Macron, il quale ha fermamente condannato il colpo di Stato ed espresso pieno sostegno all’ECOWAS affinché si possa trovare presto una soluzione alla crisi.

https://twitter.com/EmmanuelMacron/status/1296556974784548865?s=20

Successivamente l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha espresso la stessa posizione e ha chiesto un “risultato consensuale, nel rispetto dei principi costituzionali, del diritto internazionale e dei diritti umani, è l’unico modo per evitare la destabilizzazione non solo del Mali ma dell’intera regione”. Una condanna alle violazioni costituzionali è arrivata anche dal Parlamento Europeo, tramite il suo presidente David Sassoli.

https://twitter.com/EP_President/status/1296376294612119553?s=20

Data la gioia con cui è stato accolto l’annuncio delle dimissioni del presidente, sarà difficile che queste prese di posizioni internazionali basteranno a ripristinare la stabilità del Mali.

Anna Giulia Rossoni

L’articolo originale può essere letto qui