In Italia si scrivono molti libri, ma pochi che parlano di carcere; eppure noi siamo anche quello che leggiamo, la letteratura è l’anima di un Paese. Sono fortemente convinto che in Italia la giustizia e le prigioni siano quelle che sono anche perché, a differenza di altri Paesi, nel nostro manca una letteratura sociale carceraria.

È uscito il mio ultimo libro dal titolo: “Le vostre prigioni/vita da ergastolano”. In questo volume si alternano diario e racconti, il tutto scritto negli anni più bui della mia storia carceraria, durante i quali credevo veramente che di me dal carcere sarebbe uscito solo il cadavere. Ho deciso di pubblicare questo libro perché penso che tutto quel dolore vada ancora raccontato, per non dimenticare.

Mi auguro che questo libro possa aiutare a far conoscere l’esistenza in Italia della “Pena di Morte Viva” e che possa servire a far sapere alla società che una sofferenza inutile non fa bene a nessuno, neppure alle vittime dei nostri reati.

Si può acquistare da Amazon, o direttamente da me, con dedica, inviando una mail a zannablumusumeci@libero.it.

Ecco un’estratto da uno dei brevi racconti che troverete:

Pensieri e vita di un uomo ombra, di giorno e di notte.

A volte per tentare di vivere, devi saper morire. Ed io inizio a morire appena mi sveglio al mattino. Normalmente mi sveglio all’alba. Non mi alzo subito. (…) Il mio cuore mi ricorda sempre le solite cose.

Ti conviene arrenderti, perché non potrai mai diventare l’uomo che hai sempre sognato di essere, non hai neppure più tempo e soprattutto non hai un “fine pena””.

Le guardie iniziano ad aprire i blindati delle celle.

Rassegnati a essere l’uomo che appari, perché per la legge sarai cattivo e colpevole per sempre, non potrai migliorare ed essere un uomo diverso.”

Noto che la sera il blindato rimbomba di felicità, mentre il mattino scricchiola, come se facesse più fatica ad aprirsi che a chiudersi, ma rispondo al mio cuore: «No! Non mi arrenderò mai». Ogni volta che le guardie mi chiudono il blindato in faccia provo un brivido di paura alla schiena, invece quando me lo aprono provo sollievo ed è come se mi aprissero la cassa da morto.

(…)

E osservo la mia cella, dove vivo da cinque anni. C’è poco: una branda murata al pavimento, un tavolino, uno sgabello e un paio di stipetti attaccati alle pareti. E poi tanti sorrisi dalle foto sui muri, dei miei nipotini.

Le pareti sono grigie. Odorano di muffa, umidità e di cemento armato. Invece le sbarre della finestra, il cancello e il blindato, puzzano di ferro. Il soffitto è giallo, il colore della nicotina.

Faccio il bibliotecario. Alle nove vado a lavorare. La biblioteca è il posto più bello del carcere, perché è il luogo dove mi sento più libero, lì leggo e scrivo. I libri che leggo mi servono per segare le sbarre della mia finestra, quelli che scrivo per scavalcare il muro di cinta.

(…)

A mezzogiorno ritorno dalla biblioteca in cella. Faccio un pasto frugale. Leggo i giornali. A volte vado all’aria a fare quattro passi. Spesso invece rimango in cella. (…) Alle sei e un quarto chiudono i cancelli. E non potrò più uscire dalla cella fino all’indomani mattina. Pochi sanno che quando qualcuno gira la chiave di una serratura di un cancello in una cella, è come se girasse un coltello nel cuore di un prigioniero.

Accosto il blindato per avere un po’ d’intimità. In carcere siamo circondati da tante persone, ma in realtà spesso siamo soli con noi stessi, perc la solitudine è la nostra unica compagnia.

(…)

Scrivo, fra l’altro, come li definisco io, racconti noir sociali carcerari, per attirare l’attenzione sulle carceri e sulle numerose morti che accadono dentro le loro mura. Intanto si fanno le undici di sera.

Ci siamo…”

Il mio cuore mi avvisa, come fa tutte le sere:

Un’altra notte da ergastolano…”

E dal fondo del corridoio sento che stanno iniziando a chiudere i blindati.

Non fare come al solito…”

Tutte le volte che vedo che mi chiudono il blindato provo una stretta che mi gela il cuore.

Cerca di addormentarti subito, perché ti avviso che non ho voglia di confortarti.”

Odio il rumore del ferro.

Lo so…”

La chiave che gira nella serratura. (…) Mi metto a letto. (…) La notte è l’ora del dolore.

L’ergastolo ostativo è più doloroso e duro più della morte.”

Ed è il momento più brutto della giornata. (…) Quando non riesco a dormire subito, mi alzo dalla branda. Accendo la luce. Parlo a voce alta al mio cuore: «Siamo solo ombre che continuiamo a respirare». E inizio a passeggiare.

(…)

Ogni tanto mi affaccio dalle sbarre della finestra, per vedere se nel cielo ci sono le stelle. E se c’è la luna. Spesso afferro le sbarre con le mani. Le stringo con tutta la mia forza per vedere se riesco a spezzarle. Non ci riesco e allora ritorno nella branda. Intanto s’è fatta mezzanotte e dico le ultime parole al mio cuore: «Sogna anche per me un “fine pena” e, per una volta, accontentami…»

Ogni ora passa la guardia a controllare, per sapere se siamo vivi, se siamo morti, o se siamo scappati. (…) Spesso faccio finta di dormire, ma con gli occhi socchiusi la vedo aprire lo spioncino e dopo qualche secondo rinchiuderlo. (…) Poi mi addormento perché non posso fare altro.