Cerco sempre di dare voce ai prigionieri, ma questa volta voglio darla ad un familiare, perché anche loro scontano il carcere, senza che abbiano commesso nessun reato: hanno solo la colpa di continuare ad amare. Leggetela.

Egregio signor Musumeci, chi le scrive è una semplice ragazza di trent’anni, che vive in un paese piccolo. La mia forse è una storia come tante altre. Come me nel mondo ci sono altre persone che vivono la mia stessa sofferenza, ed io sono una piccola goccia dentro un mare di indifferenza. In questi mesi ho dovuto imparare a condividere l’affetto con il carcere, sì perché il mio compagno è un detenuto con una condanna ostativa di 2 anni e 4 mesi da scontare.

Mai avrei immaginato che nella vita mi sarei imbattuta in questo limbo, perché vivere un affetto dietro le sbarre è difficile, il più delle volte straziante. È una gara contro il tempo che giorno dopo giorno ti fa abbassare le difese, perché le speranze, che all’inizio ti sembrano salde e sicure, con il tempo si affievoliscono, creandoti il vuoto intorno. La gente ti mette un marchio, un’etichetta, ti guardano sempre come una persona “sbagliata” e sei anche tu da fuori a pagare il prezzo della pena. Solo per non avere abbandonato la persona che si ama, per il semplice fatto di starle ancora accanto.

In questi ultimi mesi ho dovuto imparare a gestire il tempo, ad abituarmi ad un regime di privazione dei rapporti umani. Allo stare da sola, perché il più delle volte le persone come noi vengono lasciate sole. E allora pensi, preghi, vorresti in tutti i modi far tornare indietro il tempo, ma sai che non puoi. L’unica cosa che puoi fare è solo andare avanti. Sì, ma come? Quando non si ha la certezza di un lavoro, che almeno ti dia la dignità di poter vivere, di poter far recapitare cibo e vestiti alla persona che si ama. Provi in tutti i modi a trovare quella forza, ma sei stanca, stanca di essere per la società solo ed esclusivamente un peso.

Chi ha un affetto in carcere sa di scontare la pena con lui, automaticamente è come se ti ritrovassi anche tu dietro le sbarre. Io non so quale sia la forza che mi fa andare ancora avanti a lottare ancora. Non so se sia coraggio o paura. Non so neanche perché le ho scritto, forse per sentirmi meno sola, forse per non sentirmi giudicata come spesso accade. La mia unica forza è che un giorno potrò riabbracciare la persona che amo e ricominciare tutto da capo, rinascere insieme di nuovo.

Spero che questa forza mi accompagnerà nei giorni e che finalmente la luce faccia spazio al buio che ogni giorno siamo costretti a vivere. Ma chi meglio di lei può capire cosa significhi l’inferno del carcere. Ho letto le sue testimonianze, ho seguito la sua storia e le sue parole piene di speranza mi hanno dato coraggio. Quel coraggio di affrontare la vita, di non arrendersi, di esistere e resistere perché possa un giorno, dopo tanto dolore, ritrovare la felicità e afferrarla con le mani, sentirla addosso. Per questo la ringrazio, perché è anche un po’ merito suo se io ho ancora la forza di svegliarmi la mattina e mettere ancora tutto in gioco e sperare ancora che tutto questo inferno finisca. Con affetto, una semplice ragazza di quasi trent’anni.

Testimonianza raccolta per l’Associazione Liberarsi.