La proposta di Recovery Fund, avanzata dalla Commissione Europea e salutata con entusiasmo dalla fanfara governativa, prevede che all’Italia arrivino 172 miliardi di “aiuti”; peccato che l’Italia dovrebbe anche contribuire con 96,3 miliardi alla costituzione dello stesso Fondo e quindi, alla fine, in realtà riceverebbe solo 56,7 miliardi, per di più spalmati su quattro anni: 14 miliardi netti all’anno, corrispondenti allo 0,8% annuo del PIL, a fronte di una necessità di circa 270 miliardi all’anno per compensare un crollo che si prevede sarà del 15% .

Di questi 14 miliardi all’anno, solamente una parte sarebbero a fondo perduto, mentre il resto sarebbe un prestito; e in entrambi i casi questi soldi sarebbero soggetti a condizionalità (leggi: riforme liberiste) e vincoli di destinazione.  Per di più, la prima tranche di “aiuti” non arriverebbe prima del 2021.

Non è così che si risponde all’esigenza improrogabile di sostenere le imprese che stanno chiudendo e le centinaia di migliaia di persone che in Italia stanno perdendo il lavoro in questi giorni!
Nei prossimi mesi assisteremo a un massacro sociale paragonabile soltanto a quello causato dalla seconda guerra mondiale e le istituzioni europee e il governo italiano non sono assolutamente all’altezza della situazione.

Ricorrere al Recovery Fund significherebbe ricevere, ormai troppo tardi, una quantità assolutamente insufficiente di denaro (di cui una parte a debito) vincolato ad un piano di smantellamento definitivo dei diritti sociali sanciti dalla nostra Costituzione. Sarebbe come accedere a un altro MES sotto mentite spoglie, inadeguato e dalle conseguenze distruttive per l’Italia e per gli altri paesi del sud Europa.

Invece, per rispondere adeguatamente alla crisi si dovrebbero immettere immediatamente ingenti quantità di denaro nell’economia dei paesi, senza condizioni e senza produrre alcun ulteriore indebitamento.

La BCE dovrebbe stampare tutti i soldi necessari ad affrontare l’emergenza (ben più di 750 miliardi), acquistando direttamente i Titoli di Stato senza conteggiarli come debito pubblico effettivo, ovvero “monetizzandoli”  e immettere il denaro direttamente nel circuito economico anziché darlo alle banche, svolgendo quindi il ruolo di un’autentica Banca Centrale, cosa che purtroppo non è.

Ma anche quando la BCE, in deroga al suo stesso statuto, ha ventilato la possibilità di una monetarizzazione del debito, il fronte dei paesi del nord Europa si è opposto fermamente.

A questo punto sarebbe un suicidio contare ancora sugli aiuti europei. È necessario che l’Italia disponga immediatamente di tutto il denaro di cui ha bisogno, senza aspettare la UE e senza indebitarsi ulteriormente.

Innanzi tutto si deve provare ad emettere tutti i Buoni del Tesoro necessari, forti del fatto che la domanda all’ultima asta è stata di 100 miliardi a fronte di soli 12 di offerta, sfidando in questo modo la BCE a svolgere pienamente il suo compito di Banca Centrale, come stanno facendo tutte le altre come per esempio la FED, la Bank of Japan e perfino la Bank of England.

Nel caso che questo non avvenisse, si dovrebbe ricorrere all’emissione di una moneta di Stato, una moneta non a debito; denaro stampato e immesso direttamente nel circuito economico a firma del ministero del Tesoro, che circolerebbe solo in Italia e non sarebbe convertibile in euro, con il quale si potrebbero finanziare moltissime voci della spesa pubblica e dare un adeguato sostegno alle imprese e ai cittadini colpiti dalla crisi.

Una moneta sovrana siffatta non è vietata, non contravviene all’articolo 128 del trattato di Lisbona e, come afferma il noto economista Nino Galloni, che da tempo sostiene l’opportunità di emettere questo tipo di “Stato-nota”, migliorerebbe i conti pubblici perché nel bilancio dello Stato avrebbe segno algebrico positivo, al pari delle entrate fiscali.

È ora che il governo scelga da che parte stare: con la UE, con le banche e la finanza, o con i cittadini.
È ora che questo paese trovi il coraggio di sfidare le regole di austerità imposte dalle istituzioni europee, se vorrà avere un futuro.