Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento. Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposto a fare in quella direzione?

Una profonda redistribuzione delle risorse disponibili, verso il rafforzamento della sanità pubblica (medicina del territorio e della prevenzione piuttosto che ospedali-aziende) e politiche che non escludano ulteriormente coloro che già sono stati più vulnerabili di altri durante la pandemia e che rischiano di essere tra i “non ripartenti”. Infine, sono convinto che debbano essere accertate in modo indipendente e imparziale eventuali responsabilità nel diniego del diritto alla salute e alle cure mediche durante la pandemia.

Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?

Mi auguro che aver condiviso, sebbene non tutti con la stessa drammaticità e con gli stessi lutti e perdite di vite umane, un’esperienza così totalizzante come mai dalla Seconda Guerra Mondiale (peraltro non vissuta da molte delle generazioni che hanno attraversato questa) possa spingere convintamente verso quel cambiamento sociale. Nella fase che io non chiamerei post-Covid ma con-Covid, abbiamo di fronte due scelte opposte: un ritorno alla divisione, alla xenofobia, alla demagogia, alle misure di austerità ancora una volta dirette contro i poveri, con la normalizzazione delle misure straordinarie di questi mesi; oppure la nascita, proprio dall’aver condiviso un periodo così drammatico, di una nuova era di cooperazione, solidarietà e unità, un’era di rinnovato impegno per ricucire le fratture sociali e le ineguaglianze così brutalmente messe in evidenza dalla pandemia.