Le tanto attese decisioni non sono un forte esempio di solidarietà tra i popoli della UE. Certo, prevedono un aumento delle risorse finanziarie disponibili, in particolare dai mercati dei capitali, miranti a

a) mitigare gli effetti devastanti sull’occupazione e sul reddito dei lavoratori (si tratta delle misure del cosiddetto pacchetto SURE che dà accesso a 100 miliardi di prestiti),

b) sostenere le imprese che cessano l’attività e perdono entrate attraverso la creazione di un fondo della BEI fino a 200 miliardi di euro, e

c) la concessione di aiuti agli Stati fino a 240 miliardi di euro nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità (il famoso MES, da anni duramente criticato dalle forze progressiste europee).

A quese risorse bisogna aggiungere i tradizionali fondi europei (agricoli, regionali …) iscritti nel bilancio dell’Unione per il cui utilizzo gli Stati possono beneficiare di una maggiore flessibilità. Per esempio, dirigere i fondi su progetti in altri campi per far fronte alle difficoltà create dal coronavirus. E’ stato confermato l’abbandono provvisorio dei vincoli imposti dal Patto di stabilità, che diversi Stati membri consideravano da tempo “stupidi” e antieuropei.

I soldi però non fanno solidarietà.

Money is important, but political and social change is more important, direi in buon italiano. Anche questa volta, i soldi – seppur tanti – non sono lo strumento sufficiente per risolvere i problemi strutturali a lungo termine dell’architettura economica, finanziaria e politica dell’UE, da cui dipenderà il futuro dell’UE e la sua integrazione in una “comunità europea”.

Si può dire, senza forzare la verità, che l’accordo del 9 aprile sulla lotta contro la pandemia non è stata l’occasione, auspicata da molti cittadini europei, di avviare i cambiamenti strutturali necessari per rilanciare il progetto europeo né il progetto di un altra società liberata dal disastro climatico-ambientale e dallo sfaldamento dei diritti umani e del welfare sociale. La stragrande maggioranza dei leaders politici europei attuali non ha voglia né intende favorire un dibattito politico serio allo scopo di ridisegnare il ruolo dello Stato e dei cittadini in relazione all’attuale predominanza della privatizzazione e della finanziarizzazione della vita e dei servizi pubblici; di cambiare i criteri di definizione delle priorità di investimento (che dire della spesa militare, continuerà a dominare le scelte nazionali e le relazioni globali? Che ne è della spesa dannosa per lo stato ecologico dei suoli, delle foreste, delle acque, degli oceani? Cesserà l’UE di essere compiacente con l’industria chimica dei prodotti tossici? I rendimenti finanziari continueranno a prevalere sui diritti e sulla salute degli esseri umani e delle altre specie viventi sulla Terra)?

Bene però ha fatto il governo italiano guidato da Conte a mantenere un granello di bloccaggio nell’ingranaggio della grande macchina europea, affermando il suo netto rifiuto all’ulteriore utilizzo del MES e la sua determinazione in favore della soluzione eurobonds sotto la responsabilità congiunta degli Stati membri. A mio parere, basarsi sugli eurobonds non sarà la soluzione chiave, ma potrebbe rivelarsi una leva per far saltare i lucchetti.

Prima di continuare a spiegare perché l’adozione degli eurobonds non sarà sufficiente, aspettiamo quindi l’incontro degli stessi leaders europei previsto dopo Pasqua. Saremo in condizioni migliori per valutare lo stato delle cose.

I timori restano fondati

L’immagine dell’Europa veicolata dal comitato dell’Eurogruppo resta quella di una Europa che afferma di voler continuare, dopo la pandemia, a diventare un’Europa ancora più verde, un’economia più sostenibile, una società più digitale. Cioè a dire, l’Europa che è stata costruita negli ultimi 30 anni e che consacra un’Europa oligarchica, dominata dalla finanza e dalla tecnologia guerriera, dalla crescita del PIL e delle ineguaglianze sociali (più di 120 milioni di europei detti “ a rischio di povertà”, un’espressione ipocrita per evitare di dire “impoverite” da un sistema che si proclama verde, sostenibile e digitale).

Guardando all’accordo del 9 aprile, i miei timori per un mondo che sarà ancora più frammentato, disuguale e ingiusto dopo la pandemia sono ancora più fondati. .Infatti, sotto l’influenza delle opinioni espresse dalle classi dirigenti e sostenute dalla stragrande maggioranza dei media (tutte le categorie), i cittadini non sembrano essere spinti, di fronte alle drammatiche situazioni attuali, a pensare e agire globalmente, in una prospettiva di uguaglianza e universalità dei diritti umani e dei diritti della “natura”. La maggioranza si preoccupa soprattutto del proprio futuro, della propria sicurezza, della propria sopravvivenza. Non senza ragione, viste risposte economiche e finanziarie date al coronavirus in Europa, Stati Uniti, Brasile, India…. La gente sembra essere portata a ripiegarsi su posizioni e comportamenti “nazionalisti”, xenofobi, razzisti.

A causa delle sue inadeguatezze e debolezze (che le combinazioni alchemiche finanziarie non possono nascondere), è molto probabile che l’accordo del 9 aprile sarà facilmente sfruttato per esacerbare l’animosità italiana contro i tedeschi e gli olandesi e viceversa. Come avviene, in Italia, con il disprezzo e il razzismo di alcuni nordisti nei confronti delle popolazioni delle regioni meridionali.

E che dire del destino dei 2,1 miliardi di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e dei 4,2 miliardi che non sanno cosa significhi un servizio sanitario? Dove si stanno adottando, al momento, misure radicali per fermare i fattori che causano la morte di 7,9 milioni di bambini sotto i cinque anni di età ogni anno a causa di malattie causate, tra l’altro, dalla mancanza di acqua potabile? Dove sono le decisioni prese a livello globale per fermare il furto della vita dei 1,7 miliardi di senzatetto, i 2,1 miliardi di adulti senza lavoro, sfruttati e non protetti? Dove sono le decisioni di arrestare, dopo la pandemia, le spese militari e la svendita al capitale privato dei diritti alla vita della conoscenza?

Sarà speso Dovranno esserci forti segnali di un’inversione di tendenza per pensare che il mondo dopo la pandemia sarà diverso da quello di prima. Certo, sarà speso un po’ più di denaro pubblico di adesso per la salute, l’ambiente, la qualità della vita e la sicurezza di fronte ai grandi rischi associati agli effetti del disastro climatico in corso. Ma questo, per come stanno andando le cose, andrà a beneficio solo degli strati sociali più ricchi, quelli più resilienti.