Stiamo vivendo una vita sospesa ma che non deve diventare una non vita e per il nostro bene invito a sospendere il giudizio (epoché) rifacendomi al filosofo scettico Sesto Empirico vissuto nel II secolo d.C.. Cosa voglio dire? Affermo, sulla scia del suo insegnamento, che quando non si abbiano elementi sufficienti per dare un giudizio su un nuovo evento è meglio tacere. Non significa rinunciare ad esprimersi, non vuol dire restare in disparte, ma in attesa.

Questo pensiero greco antico è uno strumento valido ancora dopo tanti secoli e lo possiamo adottare per ciò che sta accadendo ora con la pandemia di corona virus. Quanti discorsi, quante supposizioni, quante previsioni si stanno facendo sul futuro prossimo e lontano in relazione al virus e alla sua/nostra sopravvivenza? Troppe e troppo spesso senza le dovute cautele, soprattutto da parte di chi non ne ha titolo, ce lo dicono gli scienziati stessi di non essere in grado di fornirci dati certi: per usare una metafora marinaresca, si naviga a vista. Anche se si hanno elementi su cui lavorare per il vaccino, anche se si sperimentano farmaci, al momento tutto è abbastanza fluido, poco circoscritto da evidenze scientifiche ed è normale quando si ha a che fare con qualcosa di nuovo, qualcosa che non sappiamo bene da dove provenga.

Gli antichi lo avevano capito, non si può dare un giudizio quando non ci sono elementi che permettono di formularlo, epoché invece ci salva dal dire idiozie, traduco io in modo molto concreto, e con questo dona a tutti una certa tranquillità che gli scettici definivano atarassia, l’imperturbabilità. Epoché diventa, con la pratica filosofica, una cura perché ci fa stare tutti più calmi, soprattutto infonde tranquillità a chi ascolta. L’informazione martellante, contraddittoria, a volte confusa e troppo spesso nei social network fautrice di panico collettivo, procura uno stato di allarme permanente: il nostro corpo e la nostra mente subiscono una violenza verbale pericolosa.

Quindi diciamo in coro: “epoché!” perché questo invito raggiunga più persone possibili, perché diventi una condivisione, un modo per stare vicini in attesa di maggiori certezze e per preservare la nostra integrità. Ippocrate di Coo vissuto tra il V e IV secolo a.C., il primo medico della storia occidentale, fu anche il primo a comprendere quanto sia fondamentale la componente che oggi chiamiamo psicologica nella malattia. Ecco perché è necessario non trascorrere l’intera giornata occupando la mente esclusivamente con il covid19, altrimenti anche se non ci ammaleremo la nostra unione mente-corpo ne rimarrà a lungo segnata e fiaccata.