La pandemia sanitaria internazionale induce a riflettere sullo stato di salute del nostro pianeta. Per numerose organizzazioni internazionali particolarmente preoccupante è la situazione dei nostri mari e degli oceani.

Un appello alla cooperazione nel Mediterraneo giunge da Isidro González, vice segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo, che ha recentemente ribadito: “Le coste della regione del Mediterraneo sono tra le più minacciate al mondo: quasi il 40% delle coste è oggetto di speculazione edilizia e 150 milioni di persone vivono vicino al mare, generando un assurdo sovraffollamento. Secondo un recente rapporto presentato all’ultima riunione dell’Unione per il Mediterraneo dai ministri degli affari esteri è stato stimato che 15 grandi città rischiano alluvioni e problematiche ecologiche se non vengono intraprese iniziative di pianificazione urbana intelligente e sostenibile“.

Per far fronte alla pressione esercitata sul fragile sistema dell’ecosistema marino e fornire una fonte alternativa e sostenibile all’economia del mare, le pratiche dell’acquacoltura devono essere sostenibili e rispettare i contesti geografici di appartenenza. L’Unione per il Mediterraneo sostiene l’attuazione di numerose attività per costruire l’agenda globale del Mediterraneo e soddisfare i requisiti dello sviluppo sostenibile. Nel luglio del 2020 è prevista una riunione ministeriale a Malta con esperti e attori del settore e il lancio di una dichiarazione che stabilirà il “terreno comune di azione” tra i 43 paesi, con al centro l’Agenda 2020 sull’economia blu. In questa riunione ogni paese avrà una sua autorevole rappresentanza. Nei prossimi anni continueremo ad organizzare momenti di dialogo sia a livello politico che tecnico“, ribadisce il vice segretario dell’Unione per il Mediterraneo.

La situazione non è allarmante solo per il bacino del Mediterraneo e notizie preoccupanti giungono anche da altri contesti marini. La situazione delle acque oceaniche preoccupa per le estrazioni minerarie. Per questo i governi di tutto il mondo dovrebbero da subito “mettere in atto una moratoria su tutte le attività di estrazione“. È l’appello lanciato da un team di scienziati della ong Fauna&Flora international (FFi) nel rapporto “An assessment of the risks and impacts of seabed mining on marine ecosystems“, che valuta i rischi e il potenziale impatto dell’estrazione mineraria dai fondali oceanici.

Secondo la ricerca, pubblicata il 12 marzo, i piani proposti per l’estrazione nei fondali causerebbero la perdita di “interi ecosistemi che ospitano la vita marina e la biodiversità” e di microbi importanti per lo stoccaggio del carbonio. Inoltre, l’esposizione dei fondali marini ai metalli tossici provocherebbe la diffusione di tossine in aree che ospitano la maggior parte della pesca mondiale. “I minerali sul fondo del mare sono elementi centrali degli ecosistemi di acque profonde“, ha dichiarato Pippa Howard, direttrice di FFi, che ha aggiunto: “Le conclusioni a cui siamo arrivati dopo approfonditi studi non potrebbero essere più preoccupanti. Dal rilascio di metano alla distruzione di ecosistemi in gran parte non studiati, i rischi dell’estrazione mineraria in acque profonde sono potenzialmente disastrosi“.

L’attività umana sta già mettendo a dura prova gli oceani, che assorbono un terzo di tutte le emissioni di origine umana, svolgendo un ruolo vitale di mitigazione dei cambiamenti climatici.

L’anidride carbonica sta rendendo gli oceani più acidi, con conseguenze per gli ecosistemi marini di tutto il mondo, comprese le barriere coralline. Inoltre, fino al 13% della pesca globale è crollato a causa dello sfruttamento eccessivo e quasi 500 zone morte oceaniche coprono un’area grande come il Regno Unito. Entro il 2100 oltre la metà delle specie marine del mondo potrebbe essere prossima all’estinzione.

Ricordiamo che l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha riportato che sono già state rilasciate 29 licenze di esplorazione a paesi come Cina, Corea, Regno Unito, Francia, Germania e Russia, che hanno manifestato interesse per vaste aree del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, come ha ricordato anche il rapporto “In deep water” pubblicato a luglio 2019 da Greenpeace.

D’altronde, i minerali che si trovano sul fondo del mare sono sempre più richiesti, soprattutto per l’uso in apparecchi tecnologici come batterie e telefoni cellulari. Secondo Fauna&Flora international l’estrazione mineraria non può essere considerata “un’alternativa leggera alle miniere terrestri”.